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L’ideologia del traditore. Arte, maniera, manierismo di Achille Bonito Oliva (1976) è uno dei testi critici che ho certamente amato di più e che tuttora reputo un punto di riferimento nel panorama della letteratura artistica contemporanea. L’ho sempre posto vicino e, almeno in parte, in continuità con quel vero e proprio caposaldo che è Il manierismo: la crisi del Rinascimento e l’origine dell’arte moderna (1965) di Arnold Hauser, che appunto costituisce lo strumento fondamentale per la comprensione di uno degli snodi più complessi e più affascinanti della storia dell’arte occidentale, essendo inoltre e appunto ispiratore di molte riflessioni critiche successive.
Ma tornando al “traditore” di ABO, nel suo ragionare ci sono intuizioni che non fatico a dire notevoli, e che in certi punti sono decisive per la comprensione dell’opera d’arte e dell’artista nel periodo storico che parte appunto dalla seconda metà degli anni Settanta e arriva fino ai primissimi anni Novanta. Poi qualcosa cambia, intendo da quei primi anni dell’ultimo decennio del secolo scorso, e non solo nell’arte. Un mutamento che lo stesso ABO registrò con la consueta tempestività nella sua famosa Biennale del 1993, mentre solo un anno prima Jeffrey Deitch ne aveva dato alcuni significativi avvisi nella mostra “Posthuman”.
Tra i molti cambiamenti, linguistici, tematici, formali, espressivi, di funzione e di ruolo dell’opera e dell’artista, c’è anche quello del modo e del senso che assume il tradimento, tanto dentro l’arte che fuori nella realtà, o se preferite nella vita. Faccio un veloce passaggio proprio in vicende recenti di quest’ultima. Quando il 22 febbraio scorso i media hanno rilanciato le immagini della cerimonia della campanella tra Enrico Letta e Matteo Renzi, mi è sembrato chiaro che si stesse dando definitiva consacrazione pubblica e istituzionale, ad un tradimento che portava a conclusione il lungo processo di deideologizzazione di un atto dalla storia così complessa e contraddittoria. Fu profondamente ideologico, tanto per cominciare dall’inizio, il tradimento di Giuda verso Gesù. Un tradimento che rappresenta uno dei fondamenti della nostra cultura occidentale cristiano-cattolica, e non solo in senso negativo. In questo senso non considero invece quello di Eva un tradimento, quanto piuttosto un atto di disobbedienza, anche se di natura non meno ideologica. Tra i traditori passati alla storia si va da Bruto al Maresciallo Pètain e si finisce, in molti sensi, con il povero Domenico Scilipoti, autore di un tradimento che è stato assunto dalla storia come un paradigma di qualcosa che è ben diverso dalla deideologizzazione, e che invece è l’emblema dell’antico carattere tragicomico nazionale.
Cocito, il fiume ghiacciato – “Per ch’io mi volsi, e vidimi davante/ e sotto i piedi un lago che per gelo/ avea di vetro e non d’acqua sembiante”, Inferno, canto XXXII – è pieno di personaggi colpevoli di un peccato che Dante reputa come il peggiore, tanto da immaginare i traditori come pietre, oggetti inanimati.
Ma è sempre così? Non c’è una qualche differenza tra il tradimento che ha una ragione ideologica, legata cioè ad una qualche finalità che è oltre il proprio diretto tornaconto, e quello che non ne ha?
A questo proposito credo sia utile segnalare che l’etimo di tradimento è lo stesso di quello della parola tradizione: tràdere (consegnare oltre, trasmettere). Non so voi, ma io l’ho trovata una cosa davvero strana. Qual è la relazione che si può stabilire tra il consegnare qualcosa, ad esempio un’informazione o un segreto, oltre, e implicitamente ad un nemico, e il tramandare fatti, storie, dottrine, attraverso il tempo e non certo di principio a qualcuno di ostile? In effetti anche se viene intuitivo pensare al contrario, e cioè che l’atto del tradire intende interrompere una continuità, una tradizione, in favore di un cambiamento o in sostegno di chi gli è avverso, tornando a Giuda e al suo tradimento archetipico, e seguendo le parole di Giovanni, appare chiaro che l’Iscariota sceglie la tradizione ebraica contro le innovazioni di Gesù. Quindi il suo è un tradimento che vuole corrispondere alla continuità di una tradizione. Ma l’artista compie questo stesso tipo di tradimento? Almeno in parte si. Il suo è infatti un tràdere che consegna l’opera alla storia dando così continuità ad una tradizione millenaria. Ma al contempo l’opera nuova è anche un superamento della precedente, un tradimento di quello che la tradizione aveva preservato.
L’evidente contraddizione tra i due tràdere è conciliabile solo in forza del carattere fortemente ideologico che entrambi mantengono tanto nelle cause che nelle finalità del proprio pensare e fare. Ma come dice giustamente ABO: «L’ideologia del traditore è già l’ideologia tradita, destituita della cifra sovrastrutturale di ogni teoria che si ponga come espressione di interessi di gruppo, per acquistare la forza vergine della progettualità eversiva». Come dargli torto? Considerando oltre che le evidenze teoriche, anche la diretta esperienza che facciamo di tutto ciò nel quotidiano. Naturalmente è questa progettualità eversiva, questa capacità eversiva, questa alterità eversiva dell’artista e dell’arte, che origina da una condizione ideologica, ancorché tradita, a interessarci oltremodo per l’opposizione intrinseca che esprime verso uno stato “politico” in cui la programmatica assenza ideologica, e non il suo tradimento, è invece l’esatta misura della perdita di qualsiasi interesse verificabile verso la collettività.
Lo spostamento, al quale assistiamo ormai da due decenni, dell’arte verso la realtà, la collettività, la partecipazione, la fruizione pubblica e condivisa, l’impegno nella didattica e nel territorio, dicono di un confronto tra le parti che si pretende pubblico, politico, e che si svolge su un piano etico, avendo chiara necessità di fondamenta ideologiche. Dicono di un artista che da una posizione di “lateralità” riguadagna una frontalità e un centro che nel frattempo si è moltiplicato e distribuito in modo esponenziale e diffuso, offrendo molteplicità di azioni e reazioni tutte in atto in un presente che è continuo e immanente.
Ma è proprio questa diversità del tràdere, del tradimento, dell’ideologia o no del traditore, a segnare una distanza che appare sempre meno pacificamente colmabile tra arte, e cultura in senso più ampio, e politica. Una conflittualità che infatti non sta portando niente di buono e che impedirà qualsiasi vera crescita di tutti noi.
L’apologia del tradimento?E’ sempre difficile riuscire a seguire uno scritto di R.Gavarro,che esprime cose piuttosto fumose.Tradire viene da tradere,che vuol dire”insegnare|tradire”,cioè insegnare alle guardie dei farisei,tradendo,nel caso di Gesù.Eversivo il tradire?Se per eversivo si intende criminale,allora forse si ma non è un valore positivo.Non è scritto da nessuna parte la vera motivazione di Giuda,nemmeno nel vangelo di Giovanni.Sicuramente Gesù non da una valutazione positiva nè dell’atto del tradimento,nè di Giuda stesso e poco anche della tradizione.Il vero eversore era proprio Gesù stesso,semplicemente insegnando la verità,non tradendo!Perchè giocare con le parole?Tradire vuol dire(cito dallo Zingarelli):usar perfidia,recar danno e rovina ingannando la buona fede,venendo meno all’amicizia,all’affetto,mancando alla parola,al dovere(sic).Basta vedere l’espressione di Renzi nella consegna della campanella per capire che nulla di buono potrà venire da costui.
Anche Friedrich Schiller aveva trattato la “faccenda”…altri tempi? Altri temi? Si diceva anche “traduttore, traditore”…il traduttore tradito e via dicendo in ambito linguistico. Ora la politica ce ne dà un ulteriore esempio, ma tutto il Novecento e questi primi anni del secolo nuovo sono pieni di tradimenti…Eltsine-Gorbatchev, Sarkozy, Berlusconi e via trattando…
Il tradimento, questa espressione dall’apparenza così bonaria non è una novità nell’ambito della cultura e dell’arte. Le ripetizioni nella storia dei linguaggi visivi si srotolano con lo srotolarsi dei linguaggi nel tempo: e il tempo non ri ripete! Bisogna quindi fare bene attenzione a questi libri sull’arte, specialmente nel verificare le fonti. Difatti, le disquisizioni linguistiche che si arrotolano su se stesse in nome di novità possono creare nel lettore confusione e più danni alla superficialità e della presunzione di “saperi” , ideologie o teorie filosofiche messe insieme.
Nessuno di noi, infatti, dal più colto al più sprovveduto, può affermare di non essere stato ingannato, o peggio di non essere soggetto a condizionamenti, o soggetto o poco tanto, al luogo comune. E il luogo comune nell’arte, è quasi sempre errato. Altro che “tradimento” , questa è, senza alcun dubbio, una grande verità. Immaginate di confezionare un libro, per milioni di lettori differenti, come abiti della “stessa” misura, forma, colore?