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Com’è noto Maurizio Cattelan ha smesso di fare l’artista. Ha deciso di ritirarsi, di andare in pensione. Anche se con buona probabilità continua ad essere e a sentirsi un artista. Come sempre nella sua carriera Cattelan ha capito tempestivamente il momento, traendone spiazzanti conseguenze.
Ma cos’è che ha capito questa volta? Semplicemente che è finita un’epoca, un tempo del quale lui è stato uno dei maggiori protagonisti. Un’epoca che qui da noi, intendo in Italia, ha coinciso con il terribile quanto immanente “berlusconismo”.
Eh… si, purtroppo è inevitabile che certe cose alla fine si incastrino e vadano a formare nel loro sommarsi lo spirito del tempo e forse anche di più, la sostanza molto reale di un’epoca. Maurizio Cattelan ha rappresentato nell’arte una serie di elementi, di condizioni, che hanno caratterizzato gli anni che ci sono alle spalle: spettacolo, spregiudicatezza, gioco, arroganza, creatività, superficialità, comunicazione, eccessività, individualismo, disincanto, intuizione, anti-intellettualismo, furbizia, velocità, a-moralità, e molto altro. Non sono tutte cose negative, evidentemente, e certo Cattelan non è stato il solo a praticarle, anche se senz’altro ne è stato spesso il migliore interprete. Quando il 25 ottobre scorso ha mandato i Soliti Idioti a ritirare il premio Alinovi-Daolio nell’aula magna dell’Accademia di Bologna, le reazioni alla sua azione sono state, come al solito, contrastanti. La differenza è che però stavolta a molti è parso improvvisamente evidente che nell’eccessiva sottomisura dell’happening, il nostro avesse perso per la prima volta il controllo. O meglio non avesse più quella magica capacità sincronica con lo spirito del proprio tempo, che ha caratterizzato tutta la sua fortunata carriera.
Certo, vedere dall’altra parte un Barilli che paonazzo in volto tuonava contro lo spregio, maledicendo se stesso e le parole spese per l’artista-canaglia-irriconoscente, ha reso più difficile percepire con chiarezza il senso di smarrimento che l’operazione di Cattelan portava seco. Uno smarrimento dettato dalla consapevolezza improvvisa di un vuoto, o meglio dall’evidente mancanza di qualcosa che andasse a riempirlo quel vuoto. Esattamente quello che sta lasciando dietro di se il “berlusconismo”, un vuoto che non si riesce a colmare, talmente profondo si dimostra essere lo scavo da lui stesso prodotto e che ha toccato cose che hanno a che fare con molti aspetti del nostro carattere nazionale, e di cui cominciamo non solo a vergognarci, ma anche e soprattutto ad averne paura.
Per quello che vale, ho sempre ritenuto Cattelan un artista significativo, importante, forte della capacità di lavorare tra le linee del sistema, non tanto come un guastatore quanto come un geniale profittatore di senso e di denaro. Ma il problema è che nel corso di questa irresistibile ascesa compiuta irridendo il sistema e i suoi modelli, Cattelan è diventato esso stesso uno stereotipo prevedibile e soprattutto un topos dell’arte italiana, anzi di più, di un’italianità che è fatta di un’ironia che diventa comicità e di un disincanto che diventa disimpegno: et voilà ecco a voi il “cattelanismo”, che inevitabilmente collima con il “berlusconismo”. E purtroppo non si tratta di due facce della stessa medaglia, ma proprio della stessa faccia dell’unica falsa medaglia che oggi ci resta tra le mani. A che serve un dito puntato verso il cielo di fronte alla Borsa di Milano, se l’opera di Cattelan è parte integrante della finanziarizzazione dell’economia, compreso appunto il mercato dell’arte di cui il nostro è indiscusso campione?
Il “berlusconismo” è stato esattamente questo: la capacità di mostrarci la realtà, per quanto dura essa sia, come se fosse qualcosa dalla quale noi, ciascuno di noi come singolo individuo, può non essere toccato, anzi può salvarsi solo grazie alla partecipazione alla visione positiva del leader. Così, oltre le apparenze, in quel dito non c’è nessuna forza etica, perché esso è solo un gesto scaramantico – potevano essere delle corna – che appunto tutti possiamo fare passando davanti alla borsa o alle banche, senza che questo cambi nulla della realtà che intanto è sempre lì che ci attende per fare i conti.
Ma i tempi cambiano, anzi sono cambiati, e l’arte con loro. E se adesso è la realtà stessa a vendicarsi di chi l’aveva ridotta ad una continua messa in scena, allo stesso modo le dita puntate al cielo e i soliti idioti appaiono solo come un’inutile parodia di quella stessa realtà che nel frattempo è semplicemente andata altrove.
Allo stesso modo la presunta religiosità dell’opera di Cattelan, suggerita dalle vesti del duo e dall’immagine del Cristo impiccato lascia piuttosto perplessi, anzi è del tutto indifferente ai più. Tutti ridono del Cristo performer e nessuno avverte la drammaticità del Cristo appeso per il collo alla sua stessa croce, e forse qualcuno si domanda se quella è veramente un’opera, o se non è ancora un’altra parodia. Così rimangono solo le risate del pubblico.
Ma, caro Maurizio, la verità è che oggi una risata non è più sufficiente a salvarci dalla realtà, così come non ci ha salvato il sorriso eterno di B.
Cominciamo ad accorgerci che il dito medio è rivolto verso il popolo, come lo facesse la finanza alla gente. Cosi l’opera ritrova il suo posto lampante nel cattelanismo, anche in quello qui ben descritto. Alle volte basta guardare le cose con attenzione. Buon lavoro.
..a proposito di guardare le cose con attenzione: il cristo impiccato alla sua stessa croce è un’idea dei soliti idioti. Cattelan non c’entra nulla.
il figlio critica il PADRE sistema economico-sociale-politico….ma dal suo interno come molti nel passato hanno fatto,ricavandone gloria e denaro,niente di nuovo,in Cattelan c’è ancora la con-fusione tra vita-politica e arte,l’arte non è mai servita a cambiare sistemi economici-politici-sociali anzi è l’inverso….tra i figli e i padri vi è una identità cromosomica-genetica che forse,sfugge alla comprensione dello stesso Cattelan essendo in fondo la sua una critica SUPERFICIALE al suo-nostro padre IDEOLOGIA, come i soliti idioti stessi ed altri sono:entrambi non hanno certo il tempo (e la comprensione) per leggere Lacan.
E quindi caro Raffaele Gavarro è come dicevo io era più giusto che premiassero me?
Com’è noto, Cattelan non e’ mai stato un artista. Grande businessman, attore, uomo forzuto e grillo parlante. Un’orgia di caratteristiche da avanspettacolo, una profusione di vuoti siderali e intuizioni geniali. Così come non c’è mai stato un ventennio berlusconiano. L’atavica separazione tra bene e male, ossessivamente ideologizzata, si e’ rivelata del tutto astorica. Distribuiamo le diverse annate e conseguenti responsabilità . Cattelan rappresenta la politica, la cultura civica, l’arte. Abbiamo consentito la manipolazione dei nostri contenuti, abbiamo assistito all’ascesa di Cattelan. L’arte del nostro ventennio e’ stata spazzatura, come negli scatti dell’America di Evans. La prossima Artissima ne conformerà l’andamento . Forse ci scordiamo la totale mancanza di idee , così evidente a coloro che si approcciano criticamente all’arte. Questa assenza di potenzialità e’ inquietante. Le deboli democrazie creano mostri. L’ “opera Cattelan” rimane il capolavoro assoluto: Il nostro gesto mancato
Cattelan, un debole manierista di Duchamp
Certamente Cattelan (senza troppo togliere ai suoi meriti)è stato un artista berlusconiano, di epoca berlusconiana, possibile in una società berlusconiana, mentalità berlusconiana (la società, tra le altre cose, del mero sensazionalismo e delle provocazioni fini a loro stesse)… Io durante questi vent’anni ho sperato tutti i giorni che finisse (tutto di quel mondo era opposto al mio); ora forse finalmente è giunta l’ora. Possiamo finalmente guardare al futuro. Spero. E che sia, per favore, un futuro migliore.
Ma di quale artista state parlando?
Bravo Raffaele mi piace il tuo pezzo anche se considero Maurizio cattelan un’ottimo artista che, come tutti gli ottimi artisti, cavalca l’onda della sua epoca, producendo opere che sono dispositivi per leggere in maniera diversa la realtà. Il suo dito medio posizionato davanti alla Borsa di Milano è una citazione colta dell’arte greca e romana, la mano con le dita mozzate dall’incuria e dal tempo, che rivisitata in questo modo diventa altro. Non essere andato a ritirare il premio è in perfetta linea con tutto il suo percorso concettuale e come hai scritto tu la reazione dei paludati giudici ha dimostrato che ha fatto bene a continuare a spiazzare. Ci vediamo domani a Torino.
Peccato che tutti vi siete dimenticati di dire che in Italia, dove nessuno si dimette, Cattelan è stato l’unico che invece si è dimesso, il che lo fa essere ancora avnti a tutti e rende la tesi di Gavarro e sostenitori traballante.
R
In realtà siamo ancora in pieni anni 90…e proprio per questo il “torno subito” di Cattelan suona male. “Ci siamo tutti”. Anche se Catty sviluppa molto bene il suo tempo.
forse il vero padiglione italia di questi ultimi 20 anni:
ghost track
Piazza Duomo
Milano, 2009
http://whlr.blogspot.it/2011/11/padiglione-italia.html