Categorie: lavagna

Marginalia #10

di - 30 Agosto 2016
Iniziamo dalla fine: ci siamo lasciati al MAAM e da lì riprendiamo. Al Museo dell’Altro e dell’Altrove circa due mesi fa è stato ospitato il Primo Incontro Incompiuto di Alterazioni Video, un appuntamento di scrittura partecipata per l’invenzione di un nuovo stile. Video, scrittura, stile dunque, ma anche performance, installazione, cinema, musica, tutto questo è Alterazioni Video, collettivo formato nel 2004 da Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri. E per quanto la loro attività prosegua su più fronti, oggi scegliamo di parlare di un progetto in particolare: Incompiuto siciliano, inserito anche nella mostra “Extraordinary visions. L’Italia ci guarda” visibile al MAXXI di Roma fino a settembre.
«L’Incompiuto è secondo noi il più importante stile architettonico italiano dal dopoguerra ad oggi», così mi dice Andre Masu e, di risposta alla mia domanda sul perché siciliano visto che il progetto abbraccia tutto lo stivale, aggiunge: «In Sicilia vi è la più grande concentrazioni di costruzioni finanziate dalla Stato con fondi pubblici e mai finite». Incompiuto siciliano prende vita nel 2007 e si muove su due direzioni, la mappatura di tutte le architetture incompiute sparse sul territorio da Siracusa a Bolzano e lo studio dello stile che le caratterizza. «Spostandoci per questi cantieri a cielo aperto abbiamo cercato di rintracciare il dato quantitativo e quello qualitativo per costruire infine un quadro di riferimento in cui iscrivere questa storia». Una storia tutta italiana che ha inizio alla fine degli anni ’70 e continua tutt’oggi a produrre mostri di cemento senza molta distinzione tra sud e nord. «Ma a noi non interessa fare denuncia – continua Masu – con questo progetto intendiamo promuovere lo studio dello stile incompiuto e raccogliere il dato estetico…  le forme, i materiali e i colori che ritornano da una costruzione all’altra».
Incompiuto dunque come fenomeno estetico… e come dargli torto! La questione si gioca sui paradossi e l’arte è la concubina preferita del controsenso. Cos’è una piscina che ha la forma di piscina ma che non funziona come tale? Cosa è una diga senz’acqua? E ancora uno stadio, un anfiteatro o un centro ricreativo senza persone che vadano a fare il tifo o che passino al loro interno un po’ di tempo libero? Eppure questa piscina, questa diga, questo stadio, quest’anfiteatro, questo centro esistono. E allora cosa farne? «Ci sono quattro azioni che possono essere fatte: completare, riconvertire, lasciare così com’è e demolire. Noi tendiamo verso la seconda, attraverso altrettante azioni di riconversione, come il Festival che abbiamo organizzato nel 2010 a Giarre, cittadina in provincia di Catania con il maggiore numero di architetture incompiute (ben 9 in 15 km), e poi ci sono i workshop e gli stessi film, video, performance e installazioni che realizziamo. L’obiettivo è  riappropriarsi di un luogo, di uno spazio che era stato sottratto alla vita, dove l’umano era stato completamente estromesso per creare un nuovo punto di vista e raccontare l’oggetto incompiuto – ora opera – in maniera diversa».

Ma il paradosso non si esaurisce purtroppo in un’esclamazione dal sapore magrittiano. Benché le immagini siano mute e la pratica in sé di Alterazioni Video non si ponga come obiettivo la denuncia, non possiamo non fare alcune considerazioni, anche abbastanza lapalissiane. Ci troviamo infatti davanti ad edifici edificati con soldi pubblici e, vista l’ampiezza con la quale si estendono sul territorio, difficilmente possiamo pensare ad essi come un’eccezione; essi sembrano il frutto di un fenomeno capillare, diffuso, radicato nel tempo e nello spazio. Ma se ci pensiamo bene, il paradosso più grande deve ancora arrivare. Stiamo parlando infatti di un’economia reale che non ha prodotto valore. Gli architetti ci aiuteranno a dire che siamo davanti ad una fase progettuale, poi divenuta esecutiva ma che non ha mai ricevuto il collaudo o quand’anche non ha mai reso effettiva la sua destinazione d’uso, lasciando sparsi nel paesaggio i suoi scarti, delle rovine del presente. Allora Incompiuto siciliano fa quello che l’arte sa fare, osserva e “mette al mondo il mondo”, come piace dire ad Andrea Masu citando Boetti, perché questo trasformare l’opera incompiuta in un’opera d’arte dà la possibilità di spostare su un altro piano qualcosa che altrimenti staziona inerme sui guardrail del tempo. L’arte contemporanea – lo sappiamo- si muove sulle onde dell’esperienza, la cerca, la scova e spesso la uccide quando entra in contesti statici. Sono stati usati tanti stratagemmi per stanarla: l’illusione, il détournement, la plurima rappresentazione, tutto questo per eccitare i sensi e predisporli alla vista e all’ascolto. Ma presentare la realtà per quel che è, e strisciare dentro di essa al fine di coglierne la sua ambiguità nella stessa presentazione del dato, destituisce dal trono il ruolo di mediatori di cui curatori come musei e direttori – e tutte quelle forme di costruzione di dispositivi che orientano lo sguardo – si sono impossessati negli ultimi anni.
Incompiuto siciliano, come molti dei progetti di cui finora si è parlato, sovrapponendo al presente il presente, e non l’utopia, richiede un fruitore attivo che sia capace di elaborare i dati e dar vita ad una propria visione del mondo.
In attesa dell’uscita del Dizionario dell’Incompiuto siciliano, l’appuntamento è al Festival della Fotografia di Ragusa, dove Alterazioni Video sarà presente fino al 22 luglio con un workshop letteralmente esplosivo (http://www.incompiutosiciliano.org/).
Serena Carbone

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