Abitare lo spazio è un’abitudine necessaria a molte realtà contemporanee ed in particolar modo a Localedue. Siamo a Bologna, una città che quest’anno festeggia quarant’anni dalla celeberrima Settimana della Performance, in cui Marina Abramovic e Ulay con Imponderabilia accoglievano i visitatori della GAM su di un uscio ristretto e nudo; una città che, se un tempo fu uno dei laboratori più innovativi della creatività a tutto tondo, oggi ha abbassato il sipario ad effetto domino su Neon, Nasadella2, Interno4: tre spazi indipendenti caduti sotto la scure di una politica culturale non molto incline all’ascolto della contemporaneità. Ma, intanto che il MAMBO – dopo l’uscita anticipata di Gianfranco Maraniello e la parentesi di Laura Carlini Fanfogna – aspetta il suo direttore, la città sembra non rassegnarsi ad un silenzio ormai rotto solo da tenui atti di resistenza in strade che, più di una volta, sono apparse ingiustificatamente sotto assedio. Contro una cultura del comfort, Xing continua infatti la sua attività organizzando festival legati per lo più al perfomativo (si ricordano le XI edizioni di Netmage International Live Media Festival e il progetto Live Arts Week che aprirà la VI edizione a fine aprile); mentre sono diversi, proprio nell’ultimo anno gli spazi aperti – anche in modo non permanente – da studenti o storici dell’arte legati per lo più dell’Accademia di Belle Arti e al Dipartimento di Arti Visive dell’Università, come Porto dell’Arte, la Gelateria Sogni di Ghiaccio e Tripla. E se queste realtà mancano ancora di un loro consolidamento all’interno di un sistema alquanto ballerino – elementi, del resto, ovvi per una scena giovane con alle spalle una forte storia basata proprio sulla decentralizzazione delle pratiche – Localedue pare invece rafforzarsi anno dopo anno, mese dopo mese. Questo piccolo spazio, o piuttosto abitacolo, situato a due passi dal Mambo e dalla Cineteca, sta dando forma, difatti, insieme alle gallerie P420, CAR DRDE e Gallleriapiù, al cosiddetto distretto dell’arte nel cuore della Manifattura.
Fabio Farné, il suo ideatore, è un libero professionista, un ingegnere per la precisione, vicino al mondo dell’arte da tanto tempo, ma che solo una decina di anni fa ha deciso di passare dalla semplice fruizione all’impegno concreto. Inizia così la sua avventura in Lucania a Roccagloriosa, in provincia di Salerno, dove dà avvio ad una serie di residenze d’artista per rafforzare il legame con il territorio in un’area abbastanza selvaggia e dal sentimento nomade. Ma nel 2012 rincasa e, con la sua associazione, fa domanda al Comune di Bologna, ottenendo la gestione per otto anni, spese a carico ovviamente, di uno spazio in Via Azzo Gardino al civico 12c. E ad oggi, di eventi e mostre se ne sono avvicendate parecchi in questo abitacolo di vita. Abituati agli open space, ai palazzi storici, alle rovine che trasudano un decadente splendore, sorprende la bizzarria di un piccolo, anzi piccolissimo, spazio anonimo, di un anonimo che non ha nulla a che vedere con l’asettico del white cube, anzi… e non c’è neanche una fitta programmazione di attività ludiche, ricreative, accessorie, apparecchiatrici di un discutibile approccio al tempo, ad accendere i riflettori su questo quieto angolo di mondo. Perché Localedue apre soprattutto in occasione del momento espositivo (periodicamente tramite call pubblica vengono selezionati progetti curatoriali dallo stesso Farné insieme al direttore artistico, Gabriele Tosi), e raddoppia le sue energie grazie ad operazioni similari orchestrate a Milano al GAFFdabasso, una sorta di laboratorio al piano terra di un palazzo in via Franchino Gaffurio, che con il primo condivide l’idea «dell’essere vicini al processo, al vedo non vedo, anche sperimentando l’errore» mi suggerisce Farnè, artefice di questa polarità. E tra le ultime doppiette realizzate vi sono: Crescendo-Diminuendo di Italo Zuffi, aperto proprio in occasione della settimana dell’arte e di Miart a Milano, e Tempo di Andrea Renzini che raccoglie il testimone di Marcello Spada a Bologna.
Ai margini del sistema, ma intersecante lo stesso anche solo per l’ubicazione, Localedue incarna la massima del suo ideatore, che si definisce non una gallerista e men che meno un collezionista strictu sensu, ma piuttosto un “collezionista di esperienze”. Intercettare, raccogliere e a sua volta produrre situazioni sembra essere la vocazione di un luogo che si caratterizza per un’atmosfera emotiva, un’atmosfera che è possibile creare non tanto con effetti speciali, quanto grazie alla consuetudine, alla vicinanza, all’abitudine. La parola abitare contiene in sé infatti la radice del verbo “avere” (in latino habeo). Abitare, al contrario di altri sinonimi come risiedere, alloggiare, albergare, indugia il pensiero su quel che si è soliti avere, su di un’idea di continuità, familiarità e per antonomasia emotività. Così hanno luce questi ricettacoli di esperienze, in cui la formula dell’abitare diventa probabilmente più importante dello stesso “fare rete”, perché necessaria alla creazione di uno spazio dei possibili.
Serena Carbone