Giovanni Bosco nasce a Castellammare del Golfo (TP) il 3 marzo 1948 e muore a Palermo il 1 aprile 2009. Trascorre la sua infanzia nelle campagne del paese e dopo la scomparsa del padre, allâetĂ di nove anni, prende il suo posto di pastore. Proprio per il furto di alcune pecore, colto in flagrante, a ventidue anni finisce in carcere a Trapani e viene in seguito mandato al confino a San Benedetto del Tronto, nelle Marche, lontano dalla Sicilia. Fa il barista nei pressi di Trieste quando, nel 1977, apprende per caso che nella sua Castellammare i due fratelli sedicenni sono stati assassinati in seguito al furto di unâautomobile: è il modo che ha la mafia di farsi giustizia quando qualcuno ruba, per ingenuitĂ o spavalderia, alla persona sbagliata. Bosco è travolto dalla propria impotenza, dal dolore e dalla rabbia, dalle tribolazioni giĂ patite, e qualcosa deflagra dentro di lui. Esplode, sviene, viene ricoverato in un ospedale psichiatrico, forse subisce lâelettroshock. TornerĂ nel suo paese dopo una vita travagliata, sul finire degli anni novanta, e i vicoli di Castellammare diventeranno i luoghi dellâespressione del suo disagio.
Giovanni Bosco, courtesy ASSOCIAZIONE OUTSIDER GIOVANNI BOSCO
ÂŤDisigniciddi pe passarmi il tempoÂť, questa la frase di risposta che Giovanni diede ai primi esploratori della sua stanza-studio-rifugio, quando gli chiesero spiegazioni di quei disegni cosĂŹ confusamente sparsi tra le pareti della stanza, che si mischiavano con le poche suppellettili, creando una continuitĂ tra spazio quotidiano e colore. Fu, per chi li vide, come unâepifania. Quelle forme seppur varie, cosĂŹ ammassate tutte insieme catturavano lâattenzione, erano piĂš che un âpassatempoâ: trasparivano una coerenza visiva tale da convincerli di aver scoperto unâartista a Castellamare del Golfo. Quegli esploratori erano essenzialmente ragazzi. Era il 2007 quando Salvatore Bongiorno, Claudio Colomba, Carlo Di Pasquale, Giovanni Navarra, Vito Ingoglia, fondarono il collettivo di videomaker ZEPstudio e realizzarono il primo documentario su Giovanni Bosco, âdottore di tuttoâ. Da quel momento seguirono altri fatti: nello stesso anno un fotografo francese, Boris Piot, si accorge della qualitĂ delle sue opere, coinvolgendo il blog parigino dedicato allâArt Brut, âAnimula vagulaâ, che inizia a diffondere le immagini su Internet. Nel 2008, Eva di Stefano e il suo Osservatorio Outsider Art di Palermo avviano un meccanismo di protezione dellâoperato di Bosco. Lucienne Peiry, infine, acquista un centinaio di opere per la Collection de lâArt Brut di Losanna. Questâultimo atto sancisce il riconoscimento ufficiale. Il primo incontro Giovanni lo ha con il pittore locale Giovanni Battista Di Liberti. Ă lui il primo a riconoscerne del talento, supportandolo a praticare il disegno.
Giovanni Bosco, courtesy ASSOCIAZIONE OUTSIDER GIOVANNI BOSCO
Poi arriva un altro incontro che probabilmente convince sempre piĂš Bosco a perseguire la pittura. Nellâestate del 2004, un fashion designer romano, Fabio Casentini, casualmente in vacanza, scopre i disegni di Bosco e inizia a collezionarli per circa un anno. Nonostante lâinterruzione dei rapporti, la collezione attuale di Casentini â circa 200 opere â rappresentano il nucleo fondamentale del primo periodo dellâartista. Tornando ora al documentario, il pittore Di Liberti ricorda che la forza della pittura di Bosco risiedeva nella capacitĂ duratura di trattenere le forme nella sua memoria. Ripensando a questa notazione mi torna in mente un saggio di Giuseppe Galetta uscito per la rivista di psicologia dellâUniversitĂ di Bologna, sulla dissociazione creativa. La dissociazione creativa è uno stato alterato della coscienza a cui molti artisti hanno aspirato lungo il percorso delle avanguardie storiche del 900. Ă uno stato di allucinazione grazie al quale è possibile attraversare stati interiori della coscienza e tirare fuori immagini quasi inconsapevoli, dotate di una forma del tutto scarna, quasi incorporea. Giovanni Bosco era affetto da schizofrenia, venne rinchiuso in manicomio e forse per questo distacco âforzatoâ dalla realtĂ lâarte fu una via per rientrarvi. Ed è possibile che la dissociazione creativa sia la modalitĂ del suo operato. In effetti costruĂŹ sui muri di Castellamare la sua storia e le sue conoscenze. Nei cuori ovoidali, spesso raffigurati con occhi, braccia e gambe, talvolta vi sono frasi, estratti di canzoni; figure âtrasformisteâ tatuate di nomi come una carta geografica, mappatura del corpo o, in alternativa, del territorio con le sue strade, paesi, contrade. Tra i tipi dei suoi personaggi ci sono le âvisinicchieâ e i âviparicchiuâ con cui rappresenta talvolta la figura umana, dei âsuper-pupiâ spesso corazzati quasi robotici con grossi falli. Forse, in questo modo, quando usciva al mattino, ripercorrendo quelle case, teneva stretti i suoi ricordi. Ma esponendoli, segnandoli nel tessuto urbano, si era anche creato un ambiente, forse un tentativo di una inclusione sociale spontanea. Col senno di poi possiamo dire si sia trattato di un esperimento riuscito se, proprio questi personaggi urbani, sono serviti come briciole su un tragitto, seguiti fino alla tana di Bosco da quei giovani esploratori con i quali poi tutto è re-iniziato.
Marcello Francolini
Link di approfondimento: