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Giuseppe Palmisano ha 27 anni e per celebrare questo momento inaugura un’interessante mostra a Civita Castellana, 36×27=Oltrepensare, frutto di un intenso lavoro iniziato proprio grazie all’interazione con il pubblico di Internet. Il suo progetto nasce tre anni fa quando quasi per gioco propone agli utenti della rete una vendita delle sue fotografie. Si tratta di immagini molto particolare in cui i corpi delle modelle sono messi in relazione con spazi e oggetti di uso quotidiano, acquisendo così nuovi significati. Pose tanto metafisiche quanto naturali.
Lo stratagemma della messa in vendita funziona e nel giro di poco tempo il suo stile diventa virale. Le fotografie di “Iosonopipo”, come è anche conosciuto su Internet, si adatta perfettamente alle esigenze dei principali social media e della rete, il successo è tale da condurlo ben presto alla pubblicazione di un libro con una raccolta di importanti scatti. Il suo lavoro si basa sul concetto di interscambio con il fruitore. «Credo profondamente nell’indipendenza e nella possibilità che una ricerca artistica venga sostenuta, anziché dal sistema dell’arte, dagli stessi destinatari, da tutti coloro che la recepiscono, la fanno propria, la risemantizzano, la riattivano e a loro volta la restituiscono» In termini artistici questa volontà si traduce proprio nell’atto fotografico, in quei momenti di scambio reciproco con le modelle e in seguito con chi osserva: «Quando mi è stato detto che ero ‘quello delle collant’ o ‘quello delle abatjour’, ho voluto seguire queste indicazioni. Non bisogna lavorare per il pubblico ma con esso, e occorre cogliere tutti gli spunti e i segnali che può comunicarci».
La mostra di Civita Castellana è un tentativo di «restituire alle persone una parte di ciò che hanno contribuito a far emergere», conferma l’artista. «Internet ha avuto un ruolo molto importante, nel mio caso, è stato meritocratico. Sicuramente ha influito anche nel momento creativo, ma è stato più che importante e decisivo in quello comunicativo: l’apertura al pubblico, la visibilità e il feedback quasi istantaneo da cui trarre spunti per perseguire nel mio lavoro e nella mia ricerca è stato fondamentale». Ad un primo sguardo le foto di Palmisano evocano un tipo di rappresentazione quasi erotica, senza tuttavia scadere mai nel volgare. Questo perché la nudità delle modelle non è l’elemento su cui si sofferma il nostro sguardo. Il corpo torna al suo originale valore naturale, basico. «Il mio intento è di provare a non raccontare una storia con un vestito, ad abbassare il volume dell’uomo nel suo dialogo con lo spazio», prosegue Palmisano. «La nudità diventa così un veicolo, non più soggetto, in questo modo credo di aver reso il suo valore più puro e di averle donato quella sfumatura di bellezza che non risiede nella volgarità per l’appunto», aggiunge Palmisano.
Tuttavia, spesso quando si parla del suo lavoro, si utilizzano termini come erotismo dell’assurdo. «Il riferimento all’erotismo credo sia veicolato aprioristicamente dai corpi nudi, dai quali parte la mia ricerca. Ritrovo tuttavia anche altri in questa corrente da Yung Chen Lin a Marion fino a Ren Hang. È un nuovo tipo di erotismo che parte dalla dolcezza». E alla fine si scopre un fotografo che non ci si aspettava «La delicatezza è il requisito del mio lavoro che vorrei non mancasse mai. Mi concedo un unico contatto fisico con la modella, spostandole i capelli per dar loro la forma che più mi piace. E lo faccio con premura. Anche se la foto risulterà inquietante, macabra, ironica o erotica io son lì che le sposto i ciuffi con la delicatezza di una mamma. Da questo parte il mio universo».
Chiara Gallo
Quando si inizia copiando Bourdin o Coral e si finisce per rimanere intrappolati