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Fino a soli 10 anni fa, Phyllida Barlow, artista scelta dalla Gran Bretagna per la partecipazione di quest’anno alla Biennale, non era rappresentata da nessuna galleria e i suoi lavori non erano presenti nelle collezioni pubbliche. Le sue installazioni, monumentali assemblages di cartone, stoffa, legno, polistirene, cemento, dipinti in colori vivaci, nello spazio del padiglione all’estremità est dei Giardini, sono coronamento di un percorso di riscoperta e interesse internazionale tardivo, quanto mai meritato. Per Frances Morris, direttore della Tate, Phillida Barlow è una delle grandi artiste del Novecento, paragonabile a Louise Bourgeois, con cui condivide anche l’arrivo della notorietà in età matura: «Molte donne artiste hanno sofferto dell’effetto ombra, rimanendo sconosciute fino all’età di 60 o 70 anni», afferma Morris.
Barlow, che è nata a Newcastle Upon Tyne nel 1944, per lungo tempo è stata un nome noto esclusivamente a una ristretta cerchia di persone nel mondo dell’arte, dove era conosciuta soprattutto per la sua lunga carriera di professore alla Slade School, iniziata alla fine degli anni ’60. Qui è stata docente di molti nomi noti delle così dette “giovani generazioni” che si sono avvicendate negli anni: da Rachel Whiteread a Tacita Dean, da Douglas Gordon a Martin Creed, che l’ha definita come l’insegnante migliore che abbia mai avuto.
Il nuovo corso per la carriera di Barlow è iniziato nel 2010, con una mostra alla Serpentine Gallery di Londra, a cui ha fatto rapidamente seguito l’inizio della sua collaborazione con Hauser & Wirth, mega-galleria con sede a Londra, Zurigo, New York e Los Angeles. Nel 2014 ha realizzato una nuova commissione per la Tate Britain, “Dock”, esposta nelle Duveen Galleries, un’installazione mozzafiato, monumentale struttura di impalcature in legno, polistirolo, pallet e corda. L’artista, che è diventata membro della Royal Academy nel 2011, ha ricevuto lo scorso dicembre un’onorificenza ufficiale anche dalla Regina Elisabetta. Barlow ha dichiarato che la possibilità di partecipare alla Biennale rappresenta una possibilità che va “oltre qualsiasi possibile sogno” che avrebbe potuto immaginare per la sua carriera.
Emma Dexter, direttore del British Council e responsabile della selezione per il Padiglione, ha sottolineato l’eccezionalità della sua pratica artistica – in cui sperimentazione e processo creativo sono alla base del fare arte – capace di «Trasformare e modificare in modo dinamico qualsiasi spazio espositivo incontri». Una nuova sfida per un’artista che negli ultimi anni ha affrontato già le sale della Kunsthalle di Zurigo, del New Museum a New York, e del Forum Ludwig ad Aachen, tra gli altri, e che, quando ancora lavorava solo per se stessa, era solita occupare con le sue installazioni strade ed edifici abbandonati, osservando il mutare nel tempo dei suoi precari colossi colorati, come lei stessa ha raccontato in un’intervista all’indomani della sua nomina ufficiale.
Silvia Simoncelli