Il sublime è qui, provoca un cortocircuito culturale, profondo sgomento nel rivelare la somma delle disgrazie. Lutto biologico si aggiunge a quello sociale e genera incertezza nel futuro di una parte d’Italia, quella parte che ha ingenuamente creduto in una modernità irrisolta abituandosi a una post – modernità vacua e ridanciana. L’Ilva, così com’era, non andava già bene vent’anni fa, così come chissà quanti altri impianti in giro per l’Italia di cui non ci si accorge perché, quando un assetto socio economico è equilibrato da poteri inamovibili, va tutto bene è tutto a posto. Non ci si accorge più delle mutazioni in atto nella società celati dai ritmi dimessi della Provincia, mutazioni lente nell’ambiente, lente com’è lenta la morte di chi in quell’ambiente vive. Ecco quindi il trauma, la catastrofe, il grado zero che scuote gli animi sopiti dalle abitudini, forti della presunta capacità di piegare il mondo a miseri interessi, convinti da una babelica arroganza di dominare il presente, ignari del passato noncuranti del futuro.
Ci vuole perciò una potenza sovrumana per riscoprire la fragilità umana, la sovrastante dimensione cosmica per ricordare il peccato di Hybris dell’uomo nei confronti della Natura. Allora guardiamo ancora una volta l’immagine della colonna nera che s’abbatte su Taranto, guardiamola bene e pensiamo.
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