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“Storytelling” è la personale di Giuseppe Veneziano, a cura di Ivan Quaroni, presso il Palazzo Ducale di Massa visibile fino al 24 febbraio. Una mostra che ne racconta filologicamente la ricerca e la maturazione del linguaggio visibile nei risultati più recenti. Spiega il curatore: «Le sue storie sono sempre aperte a molteplici interpretazioni. Attraverso l’immediata riconoscibilità di un soggetto che gioca sull’antinomia realtà/finzione, coniugando sacro e profano, figure storiche e personaggi dei cartoon, citazione colta e immaginario consumistico tipico della Pop Art, Veneziano provoca lo spettatore facendo uso di sottile ironia per indurre una seria riflessione sulla società in cui viviamo».
Abbiamo intervistato l’artista.
Nell’attuale società ipermediatica, quale valore o potere pensi possa rivestire l’immagine, se ancora sia possibile attribuirgliene uno?
«L’immagine ha una forza comunicativa che nessuna altra forma di comunicazione possiede. Oggi più che mai essa è protagonista assoluta del nostro tempo. Instagram ne è la dimostrazione: è diventato un termometro che misura il clima culturale della nostra epoca. Il fatto che abbia superato il successo degli altri social network è dovuto proprio all’importanza principale che ha dato all’immagine».
Con le tue opere, alle volte, crei veri e propri cortocircuiti stilistici e semantici
«Cerco di realizzare opere che diano il giusto tributo alla storia dell’arte e, allo stesso tempo, che diano allo spettatore la possibilità di riflettere su tematiche che hanno a che fare con la sua esistenza sociale. Quello che voglio fare è provocare una reazione nel pubblico, perché ho sempre ritenuto la provocazione artistica un modo per scuotere e tenere sveglia la coscienza».
Giuseppe Veneziano, L’ultimo selfie, 2019 acrilico su tela
Consideri questa personale, nell’ambito della tua ricerca, un punto di arrivo, di partenza o entrambi?
«Questa mostra conferma la maturità del mio linguaggio pittorico e consolida il percorso nella direzione intrapresa circa 20 anni fa. Le opere dialogano e s’incastrano bene tra di loro e insieme formano un grande puzzle».
Consideri la tua un’arte dai risvolti sociali?
«La mia è un’arte che nasce da una riflessione sul sociale. Ho sempre lo sguardo puntato su tutto ciò che mi ruota attorno e quando qualcosa mi tocca più da vicino, sento la necessità di reagire e dire la mia liberamente. Spesso dietro l’idea di un’opera ci sono molti mesi di gestazione».
Qual è il filo conduttore che connette lo “Storytelling” della selezione di opere in mostra, di cui alcune esposte al pubblico per la prima volta?
«Quasi tutte le altre provengono da collezioni private. Ho cercato di scegliere delle opere che trattassero le tematiche che mi stanno più a cuore: il sesso, la politica, la religione, la storia dell’arte, il fumetto e la tecnologia. Alcune opere che espongo per la prima volta in Italia provengono dalla mostra che ho fatto a Monaco di Baviera presso la Galleria Kronsbein. Appositamente inedita per la mostra, ne ho realizzata una che s’intitola “LGBT”: raffigura un cristo in croce in chiave contemporanea, rivisitato da Guido Reni».
Davide Silvioli