“La poltrona di Proust”, ripubblicato oggi da nottetempo, uscì per la prima volta nel 1991 ed è notabile come, dopo 30 anni, le parole di Alessandro Mendini, in questo libro costruito a scampoli e in successione alfabetica, possano contribuire a capire il frammentario tessuto culturale in cui noi viviamo oggi. Il titolo di questa successione di mendiniane considerazioni è in realtà il nome della celebre poltrona realizzata per la prima volta nel 1978 per la mostra ferrarese “Incontri ravvicinati di architettura”, a cura di Andrea Branzi e Ettore Sottsass. Una poltrona finto-antica il cui fusto dipinto a mano di volta in volta da differenti mani viene di volta in volta ricoperto di differenti tessuti, ma la prima, quella del 1978, era invasa da una texture con particolari di quadri di Paul Signac, sia sulla stoffa che sul legno: dunque una nebulosa di segni per una nebulosa di pensieri. Libro conformatosi nel solco di una tradizione letteraria, delle annotazioni autobiografiche con puntate aforistiche, più che scriverne voglio riportarne brani, che in questi casi, di “pensieri diversi”, è sempre più utile e divertente.
(EMILIO) AMBASZ- (…) La sua architettura è un allestimento che fa da sfondo ai drammi dell’attività umana. Sebbene apparentemente nuovi i suoi progetti sono permeati da idee primitive e antiche: il risultato è un’architettura che sembra durare per l’eternità.
ARCHITETTURA BANALE- (…) Con questa edilizia, con questi oggetti e ambienti banali, che sono acquisiti intimamente dal pubblico normale nel suo quotidiano, l’uomo si sente a suo agio, svolge la sua azione di creatività indiretta, applica la rilassante estetica della sua giornata tipo: il diritto di servirsi di progetti “autenticamente falsi”.
ARREDARE- (…) Perché l’arredamento è una specie di impollinazione che il corpo umano compie sul suo spazio ravvicinato, una specie di grande sicurezza concava sulla nostra pelle.
ARTE E RESPONSABILITÀ- (…) Bisogna emettere arte e non ideologia: in questa restrizione disciplinare è la salvezza dell’arte di oggi. Destra e sinistra, ricchi e poveri, violenza e bontà stanno fuori dal rigido laboratorio dell’artista, perché egli sa che un rapporto diretto e iconografico con la realtà si traduce oggi in demagogia. Egli sa che verrà giudicato soltanto per la qualità del proprio linguaggio.
BARBARIE- (…) Considerato da qualsiasi struttura sociale come uno strumento atto a produrre, il corpo è voluto dalla società industriale come una funzione produttiva collegata ad altre funzioni produttive: coerentemente a questo assunto, i manuali dell’architettura concedono al corpo appena l’uso di attività caratteristiche brute (nutrirsi, spostarsi, riposare). La Body Art è la prima ricerca in Occidente che identifica nel corpo una realtà fisica da portare a livello di autocoscienza.
CAFFETTIERA- (…) La caffettiera non è solo un oggetto, è proprio un’architettura. Ogni grande architetto ne ha tentato il progetto.
CANTILENA- (…) Sono anche sedotto da chi la pensa in modo diverso da me, perché come cleptomane, camaleonte e insicuro mi immedesimo negli altri. Entrando dentro a un personaggio mi succede come a un attore che recita una parte che contraddice il suo pensiero.
PLASTICA- È il multiforme materiale perfetto a risolvere il bisogno di ambiguità. La plastica è così priva di identità da averne all’opposto infinite.
POLTRONA DI PROUST- Oltre all’idea di ottenere un oggetto eterodosso di design partendo da un input improprio al normale iter progettuale, volevo anche raggiungere questo tipo di obiettivo: fare cioè un oggetto esteticamente interessante partendo da un falso, perché il redesign in questione è compiuto su una poltrona kitsch, tuttora prodotta in serie “finto antica”.
Xbooks #17, Alessandro Mendini, la poltrona di Proust, a cura di Marisa Galbiati, Milano, nottetempo 2021
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