Sono passati 30 anni dalla chiusura di “Aperto”, manifestazione che ha lasciato il segno nella storia della Biennale d’arte, consacrando anche numerosi artisti e addetti ai lavori del mondo contemporaneo. Nonostante questo format pro-giovani sia stato affrontato in diverse pubblicazioni, mancavano, secondo Clarissa Ricci, autrice del libro “Aperto | 1980-1993 La mostra dei giovani artisti della Biennale di Venezia”, «Studi che ne indaghino in modo sistematico la nascita e lo sviluppo, oltre che la sua incidenza sulla storia dell’istituzione». Il volume, edito da Postmedia books, ripercorre quelli che sono i punti salienti di questo fenomeno da un punto di vista storico e cronologico, invitando il lettore a una visione anche critica.
Attraverso lo studio di archivi, documenti statutari, interviste, testimonianze fotografiche, approfondimenti e volumi precedenti, l’autrice, che ha improntato la sua ricerca di storica nello “scavo” delle esposizioni, è riuscita a risalire a una narrazione metodologica delle sette mostre di giovani artisti che hanno animato, dal 1980 al 1993, l’istituzione artistica più antica d’Italia. Un testo di tipo specialistico, dunque, che partendo dalla storia della Biennale d’Arte di Venezia analizza quelle che sono state le condizioni contestuali, storiche e politiche che hanno permesso la preparazione di un terreno fertile per accogliere nuove forme espositive.
Ricci parla del fenomeno dell’allomorfismo, per spiegare la necessità di cambiamento vissuta dall’istituzione veneziana nel secondo dopoguerra. La storia di “Aperto” è tra gli episodi di punta di questo rinnovamento che, mosso anche dall’emergere di altre Biennali come quella di San Paolo, oltre che dai movimenti sessantottini, si fece strada nella prima parte degli anni 70′. Non è un caso che qualche anno prima, nel 1962, fosse uscita anche la pubblicazione “Opera Aperta”, di Umberto Eco. E perciò non stupisce che l’installazione, per la sua apertura spaziale, sia stata tra i medium più utilizzati dagli artisti di “Aperto”. Infatti, a prescindere dal semi-fallimento dell’esposizione del 1970, fu quello un periodo di riforme, sperimentazioni e multidisciplinarietà.
“Aperto 80”, curata da Achille Bonito Oliva e Harald Szeemann, fu dedicata, in parte, ai giardini, ai momenti più significativi degli anni ‘70, mentre ai Magazzini del Sale dovevano essere indicate le ultime tendenze “marginali” del decennio appena concluso. L’esperimento, che ebbe un certo successo, venne ripetuto adattandolo in un format per giovani, su iniziativa di Carluccio e col sostegno del Direttore Maurizio Calvesi, che ne definì i parametri, introducendo quello anagrafico del tetto massimo dei 40 anni. Una sorta di “contro-biennale”, come dice l’autrice, che ne fece una mostra internazionale di arte emergente. Questo ampliamento di orizzonti richiese, nelle edizioni successive, sempre più curatori, per restituire una fotografia attuale della proposta artistica globale.
Dal 1986, quella che era nata come una sezione d’appendice divenne sempre di più un elemento centrale, furono ripristinati i Premi e ci si appropriò dell’intero spazio delle Corderie, area in disuso dell’Arsenale. Dopo la parentesi transitoria e di conferma di Aperto 88, incentrata sull’attualità e sul rilancio internazionale, l’apice si ebbe con la Biennale del 93′, cui presero parte i protagonisti del sistema internazionale artistico. Diversi gli eventi inaspettati e irreverenti che accaddero in questa edizione, come la contesa tra il giovane curatore Benjamin Weil, che aveva criticato l’impianto tradizionale della Biennale, e ABO, che lo sfidò a sviluppare un nuovo progetto, che sconfinò in un’estensione dello spazio espositivo sui vaporetti che ospitarono diverse opere.
Gli anni ’90, però, ne decretarono anche la fine. Dopo numerose polemiche, infatti, la Biennale del ‘95 si aprì senza “Aperto”. Dopo, diversi furono i tentativi di riparare a questa mancanza, tra cui quello di invitare 30 musei da tutto il mondo a esporre piccole mostre di artisti emergenti. Oppure “Aperto 95 – Out of Order”, organizzato alla GAM e da Spazio Aperto, a Bologna. “Aperto”, secondo l’autrice, fu in un certo modo riassorbito in senso critico nella Biennale di Germano Celant e, in maniera quasi letterale/concettuale, da Harald Szeeman con “dAPERTutto” del 1999, ma costituì soprattutto un modello per la Biennale di Francesco Bonami, del 2003.
Clarissa Ricci, Aperto | 1980 – 1993 La mostra dei giovani artisti della Biennale di Venezia, Postmedia books, 2022, 290 pp. 50 ill. bn e colore, isbn 9788874903375
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