Viaggio al termine delle risorse planetarie, dalle esperienze nella campagna pugliese ai grandi musei e mostre nel mondo: Anna D’Elia, docente e critica d’arte, ha compendiato in un libro uscito quest’anno le ultime tendenze di artisti che hanno lavorato e lavorano per il pianeta a rischio. Edito da Meltemi, con cui l’autrice collabora da tempo, “Arte per il pianeta” è un libro che in una fenomenologia editoriale potremmo dire post pandemia, presentando una sua personale ricognizione su quanto visto superata l’emergenza sanitaria, anche se in piena emergenza energetica e climatica.
Con vocazione internazionale D’Elia sprovincializza l’arte contemporanea dei pugliesi con uno zoom out che tocca tutti i continenti, e raccoglie voci dai territori affermando un credo assoluto, scientifico e più diffusamente umanistico: “tutto nel mondo è interdipendente”. Così allaccia le pratiche di protagonisti dell’arte, con affondi fino alle azioni incipienti negli anni Sessanta, con le ricerche in corso legate alle vertenze globali. Citando pensatori, studi e articoli recenti, disegna una mappa in cui unisce i ‘geomarcatori’ di opere, mostre, festival e attività di oltre quaranta artisti. Una fotografia dell’oggi che con appassionata dovizia dimostra che il futuro è adesso. E così, anche il suo viene a essere uno di quei “gesti-barriera” di cui diceva Bruno Latour. Con la postfazione della docente Maristella Trombetta, la pubblicazione si completa inoltre di un’interessante video e filmografia.
Anna, quale è stata la scintilla che l’ha portata a raccogliere queste numerose esperienze insieme?
«È stato il ragno Nephila senegalensis a far scoccare la scintilla. È successo nel 2017 mentre interagivo con le opere della mostra “Gravity”, al MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma. Il ragno tesseva la sua tela, i laser ne mostravano l’intreccio, gli interferometri ne visualizzavano gli impercettibili movimenti e i microfoni ne amplificavano le vibrazioni, offrendo un esempio concreto dell’interazione tra tecnologia e organismi viventi.
Fui molto colpita dalla presenza di questo esemplare che l’artista Tomás Saraceno e il suo team, avevano assunto come emblema di una nuova era, caratterizzata dalla collaborazione tra umani e ragni. Le voci, il passaggio del pubblico, le luci e i rumori entravano nell’opera rendendo evidente l’interconnessione tra tutti gli elementi che realizzano un’opera d’arte.
Il mito dell’autore singolo ed isolato nella sua torre d’avorio crollava a favore di un’altra visione dell’opera d’arte che si trasformava in un dispositivo per guardare ciò che, pur essendo sotto gli occhi, il più delle volte passa inosservato. È stata una rinascita, anche il ribrezzo che avevo nei confronti dei ragni è sparito ed ora faccio parte della community Aracnofilia, promosso da Saraceno su scala mondiale per difendere questa specie ad alto rischio di estinzione».
Il testo è diviso per temi e nodi cruciali, artisti e mondo animale, artisti e macro/micro mondo naturale, laddove “da grande madre, la Terra è diventata pattumiera”, bioartisti e trasmutazioni dei corpi “preparati a nuove possibili condizioni” artificiali, artisti e sociologia, nella ricerca fino ai Global South Studies. L’arte sembra riuscire in un ruolo informativo più chiaramente di quanto riesca l’informazione stessa. Lei riporta sue considerazioni così come numerosi dati scientifici in merito, che rapporto intrattiene con questi argomenti?
«Questo libro conclude la trilogia sull’arte che cura, iniziata nel 2018 con il volume “Fotografia come terapia, attraverso le immagini di Luigi Ghirri” e proseguita nel 2021 con “Vederscorrere”. Le criticità evidenziate nel primo libro scaturivano dal passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale e si possono riassumere nella perdita di contatto con la realtà diretta, nell’eccesso di quantità, velocità e pervasività della immagini, responsabili dell’indifferenza, apatia, disattenzione, incapacità di concentrazione, omologazione del pensiero, anaffettività che colpisce gran parte dell’umanità. Nel secondo libro, scritto durante la pandemia, lo sguardo di alcuni artisti è stato prezioso per superare la frattura tra mente e corpo e ripensare le relazioni tra viventi: animali, vegetali, minerali, riprendendo nelle mani il filo che lega gli umani alle altre specie, infatti solo nella ritrovata unione, è possibile avviare processi di auto guarigione.
Sia la pandemia che le emergenze ambientali hanno rivelato, in particolare agli occidentali, di far parte di una complessa rete di relazioni, per cui malattia o salute non possono essere affrontati in maniera settoriale, se si ammala l’acqua, l’aria o le piante si ammalano anche le altre specie viventi. In quest’ultimo libro, citando il filosofo Emanuele Coccia, uso la metafora del corpo-pianeta, un corpo casa per altri corpi, per porre al centro dell’attenzione l’interdipendenza tra tutti i viventi contro lo sfruttamento e la schiavitù cui gli animali umani sottopongo molte altre specie. Sono temi che di recente molti artisti stanno ponendo al centro della loro attenzione, partendo da una visione più ampia e complessa dello spazio che va ben oltre il confine terrestre e abbraccia l’intero universo.
Dilatando la dimensione temporale ad epoche precedenti a quella in cui l’homo sapiens ha fatto la sua comparsa sul pianeta (200.000 anni fa) gli umani riusciranno forse ad acquisire la consapevolezza della loro impermanenza e relatività e porsi in ascolto di quelle specie che la sanno molto più lunga in quanto a sopravvivenza e resilienza, basti pensare ai ragni che abitano la Terra da 380 milioni di anni».
Nel cuore del libro, quando affronta le tematiche del disastro socio-ecologico planetario, afferma che “persa l’idea dell’unitarietà, il mondo atomizzato e frantumato non sa più difendersi”. Anche per l’arte si tratta di casi isolati, di artisti non apparentemente in contatto tra loro, a quanto riferisce. Ora, vista la necessità di “responsabilità collettiva” ci si aspetterebbe un’organizzazione internazionale di artisti riuniti. Le rivolgo una domanda storico-artistica, non è strano che non si formino movimenti, nel senso che ha avuto per le avanguardie storiche, che interpretino e difendano in gruppo programmaticamente istanze così cocenti?
«Oggi gli artisti più impegnati sul fronte della salvaguardia planetaria lavorano in team di ricerca con scienziati e ricercatori in varie discipline. É implicito in questo metodo una diversa collocazione dell’arte nella società, un’arte non più relegata ai suoi margini o rinchiusa nell’ambito estetico, ma interconnessa con la collettività. All’idea di gruppo che aveva animato le avanguardie storiche è subentrata un diversa modalità di relazionarsi, che coinvolge non solo l’arte ma tutti gli ambiti del sapere, in percorsi esperienziali che sempre più spesso coinvolgono il pubblico, chiamandolo ad agire e interagire con le opere».
Notavo che di alcuni tra gli artisti, anche collettivi e comunità autogestite, sono forniti una biografia di riferimento e coordinate d’orientamento, ma per i più noti no. Come mai questa scelta di non inquadramento di tutti? Nella sua ricognizione non ha temuto di lasciare fuori qualcuno? Mi sono venuti in mente diversi altri artisti “impegnati”…
«Il mio libro non vuole offrire una campionatura più o meno esaustiva dell’arte impegnata, ma raccontare alcune metamorfosi radicali del sentire e del pensare, attraverso il lavoro di quegli artisti con i quali ho avuto un’esperienza diretta o mediata dalle loro opere. Per quanto riguarda le biografie di riferimento, ho fornito maggiori indicazioni per quegli autori che, per scelta, non hanno un sito web, per gli altri ho inserito in coda al volume una sitografia perché il lettore potesse a suo piacimento continuare la lettura, anche oltre le pagine del libro».
Del libro si apprezza particolarmente l’attualità, con un panorama nitido delle più importanti mostre europee degli ultimi anni, le ha visitate tutte? Mi permetto di chiederglielo, visto il taglio narrativo che ha voluto dare col paragrafo diaristico, racconto da un suo viaggio, “Atto iniziatico”.
«L’esperienza della maggior parte delle mostre che ho citato è di tipo immersivo, una modalità di fruizione che coinvolge tutti i sensi, sollecitando emozioni e reazioni fondamentali per il completamento dell’opera stessa, che in gran parte è debitrice nei confronti dello spettatore per la sua stessa esistenza. Oggi è impossibile nell’arte prescindere da un coinvolgimento personale, se non si vuole tradire l’obbiettivo stesso per cui gli stessi artisti sono mobilitati: la crescita di consapevolezza nel pubblico nei confronti delle emergenze ambientali presenti e future. Come avrei potuto scriverne e riflettere sulle scottanti tematiche in questione senza aver visitato le mostre da cui ho tratto ispirazione? Certo costa, esige tempo, denaro ed energia».
In ultimo, lei chiude citando il grande Anselm Kiefer che sostiene che “l’arte sopravviverà alla sue rovine”. Kiefer ci insegna anche che “l’arte è cinica per essenza”, cosa ne pensa?
«Al vivente non interessa la singola vita ma la continuità nella sua molteplicità e interconnessione, in tal senso mi piace interpretare le parole di Anselm Kiefer».
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