Esce una sola volta all’anno. Non è una rivista nel senso stretto del termine, poco pratica se pensate di sfogliarla nei tempi morti, sul bus o dal parrucchiere. È una scatola ma non un pacco, un cartone da cui estrarre pezzi di contemporanea, per solito in formato A4. È BAU, il “contenitore di cultura contemporanea”. «Un’istantanea del momento» secondo Luca Brocchini, artista e parte della redazione di un progetto che dal 2004 ad oggi conta 16 uscite, per un foltissima schiera di contributors. In media sono 100 per numero e provenienti da 35 nazioni differenti, tra artisti, scrittori, chef e chi più ne ha più ne metta.
Tecnicamente BAU è un assembling magazine; peraltro col primato mondiale d’essere «Quello che è durato di più» come racconta Mara Borzone, curatrice dell’unica mostra che vi farà ripercorrere in un colpo solo 16 anni di questa contenitore-rivista-esperienza meta-artistica. E quando sarete fuori dal Camec, già che ci siete fatevi una gita in quell’area d’Italia chiamata Lunigiana. Se non la conoscete fidatevi, merita.
Il carattere “sopra le righe” che fa da sfondo a questo progetto lo si percepisce già da un nome che sembra, ma non è. Cioè non è quello che avete pensato. Proprio quello, BAU «Non è un acronimo, il suo significato ognuno se lo può immaginare come vuole», parola di Brocchini. Fate vobis, tenendo conto che i più accreditati spaziano dal verso canino alla derivazione da Bauahus. Una cosa però è certa: mai “rivista” (tra virgolette d’ordinanza) fu più democratica, a partire dal nome.
La democrazia in effetti è parte del dna di BAU, perlopiù libero per tematiche o comunque mai troppo tassativo; accetta artisti di tutte le estrazioni, con una selezione da parte della redazione limitata a garantire una certa qualità. «Il confronto è il valore di BAU», «Non entriamo nel merito dello stile» e «Più c’è varietà meglio è» sono tre citazioni da Brocchini che non passano inascoltate.
Ben 1.067 protagonisti in mostra e un grosso tavolo per cominciare, dove sono schierate ad incastro stile tetris tutte le edizioni di BAU. Fuori da quelle scatole (che nel corso degli anni tra l’altro hanno assunto un valore progettuale sempre più elevato) i muri raccolgono elementi, fogli che sembrano schizzati via per sorprendere la vista. Semplice, nella complessità del chiedere di districarsi tra cumuli di contenuti. Tra una lista di nomi che non è lunga, di più. Passare dalla materia concettuale di Vincenzo Agnetti al Fluxus di Philip Corner, dalla Poesia Visiva di Adriano Accattino a gustarsi (con gli occhi) il risotto zafferano e foglia oro di Gualtiero Marchesi è un attimo. Contenuti che assumono anche valore tattile nei lavori-gadget sotto teca del numero 11. La prima regola di BAU? Non dare nulla per scontato.
All’interno di un allestimento nato per “filare liscio” diamo un “mi piace” all’oggettività con cui ci si è approcciati al tema, includendo la possibilità effettiva di sfogliare un intero numero, ché – condivisibile asserzione di Brocchini – «L’opera non deve solo essere guardata, ma sentita». Altro “mi piace” va al pieghevole fornito ad inizio mostra: ben fatto, indispensabile per decodificare l’intera mostra, e soprattutto con le sue due parti non rilegate che non fanno cheap, ma molto BAU statement. In fondo alla prima facciata si legge «I nomi degli autori sono indicati in ordine alfabetico suddivisi per scatola. Divertiti nel cercare di abbinare l’artista alla sua opera!». Chi scrive forse ha gettato la spugna troppo presto. Fino al 7 giugno però la sfida è aperta.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 20 febbraio 2020
dal 21 febbraio al 7 giugno 2020
BAU. Contenitore di cultura contemporanea 2004-2020
Camec
Piazza Cesare Battisti 1 – (19121) La Spezia
Orari: da martedì a domenica, ore 11 – 18
Info: +39 0187 727530; camec@comune.sp.it; camec.museilaspezia.it
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