Negli ultimi anni, la professione del curatore di arte contemporanea ha raggiunto un grado di appeal molto forte, soprattutto nel nostro Paese. Ogni mostra che si rispetti, anche di dimensioni e rilevanza trascurabili, è accompagnata dal nome di un curatore, come se non fosse più possibile proporre un evento espositivo senza accompagnarlo e garantirlo dalla dicitura “a cura di…”. A questa esigenza così sentita non corrisponde altrettanta letteratura critica e saggistica in lingua italiana; per questo va salutata con grande favore la comparsa della terza edizione, ampliata e aggiornata, del volume collettaneo Become a curator, curato da Gianni Romano. Si tratta della raccolta di 17 interventi dedicati all’arte della curatela negli ultimi 30 anni, attraverso contributi di rilevanza differente, firmati da alcuni dei maggiori professionisti del settore, sia internazionali – Massimiliano Gioni, Hans Ulrich Obrist, Boris Groys, Cecilia Alemani, Elena Filipovic – che italiani, tra i quali Roberto Pinto, Fabio Cavallucci, Gabi Scardi, Domenico Quaranta e Roberta Valtorta.
Privo di un’introduzione generale – forse per un volume di questo tipo sarebbe stata auspicabile – il lettore viene subito introdotto in medias res dal lucido saggio di Cristina Casero, che mette a fuoco le problematiche legate all’evoluzione delle grandi mostre nel corso del Novecento e all’aumento della loro rilevanza nell’attuale sistema dell’arte.
Quasi in veste di contrappunto, il successivo saggio di Massimiliano Gioni approfondisce le problematiche relative alla cura delle Biennali, che si conclude con un elenco di dieci punti che ne garantiscono il successo. Fabio Cavallucci si interroga invece sulla tipologia delle mostre in relazione al pubblico e si chiede se sia possibile realizzare mostre di ricerca che siano nel contempo anche popolari, attraverso le sue esperienze di direzioni a Trento, Carrara, Varsavia e Prato.
I saggi successivi analizzano tematiche e aspetti più specifici della curatela: Alessandro Castiglioni riflette sugli aspetti educativi delle esposizioni, Boris Groys si interroga sulla relazione con la Rete, Dorothee Richter approfondisce gli aspetti politici delle mostre in rapporto a uno spazio espositivo a Hong Kong, Connecting Spaces. L’interessante saggio di Elena Filipovic è dedicato alla figura dell’artista come curatore dall’inizio del Novecento a oggi, mentre Roberto Pinto e Cecilia Alemani raccontano due esperienze di arte pubblica: rispettivamente il progetto Subway nella metropolitana di Milano e la High Line Art a New York.
Domenico Quaranta indaga le strategie espositive legate all’arte digitale in riferimento alla sezione Cyphoria da lui curata all’interno della XVI Quadriennale del 2016, mentre Hans Ulrich Obrist propone una lettura parallela di tre mostre particolarmente significative e stimolanti, “Cloaca Maxima”, “Do It” e “Stazione Utopia”.
La conclusione del libro è affidata a un artista impegnato come Adrian Paci, che nel suo testo-intervista, Art House, racconta il progetto legato alla creazione della Art House School, una scuola d’arte internazionale nella casa natale di Paci a Scutari, in Albania. Una scrittura chiara e comprensibile rende la lettura del testo assai stimolante, soprattutto per gli aspetti legati all’attualità del mestiere del curatore.
Become a Curator, Gianni Romano, Postmedia books, 300 pg, 24 €
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