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Bello, sembra un quadro. La controstoria dell’arte, di Francesco Bonami
Libri ed editoria
«Questo libro è un viaggio dentro l’irresistibile desiderio di fare un quadro e dentro quell’insostituibile spazio che è un quadro. Perché la pittura, che dagli inizi del Novecento in poi, è sempre stata in pericolo di essere ammazzata, ma alla fine nessuno è mai davvero riuscito a farle la pelle? Perché alla fine anche Banksy, lo street artist più famoso del mondo, non resiste a rimanere per la strada e si mette davanti a una tela come qualsiasi artista convenzionale? Perché anche un video artista come Bill Viola, che ogni volta che c’è una mostra fa fare la fila a chi vuol vederla, alla fine, sotto sotto, vorrebbe essere un pittore?», “Bello, sembra un quadro. Controstoria dell’arte”, di Francesco Bonami.
La Biennale di Venezia ha ospitato il 25 novembre, alla Biblioteca della Biennale, la presentazione dell’ultimo libro del critico e curatore, impostandola in un ironico e informale dialogo con Cecilia Alemani, introdotto dal presidente Roberto Cicutto.
Se centrale è l’enorme potere della pittura, rispetto agli altri linguaggi dell’arte, la sua longevità e il suo rimettersi in discussione aprono il dibattito e mostrano quanto, a oggi, sia in auge, mantenendo quell’aura sacra e arrivando ad alimentare l’interesse da parte sia della programmazione museale che del mercato.
L’autore ritiene che molti artisti contemporanei scelgano deliberatamente la pittura, spesso figurativa, come linguaggio principale, per strizzare l’occhio al mercato. La pittura è quello spazio che arriva a folgorare lo spettatore, nello stesso tempo non concede errori. Come uno degli amanti più esigenti, scompare quando ormai la passione sta arrivando alla sua conclusione. È un’ossessione totalizzante, dalla quale solo pochi riescono a trarne conclusioni meritevoli.
Anche Bonami è stato un pittore negli anni’80, ne ha parlato senza filtri o mezze misure durante la presentazione, non risparmiandosi dei ricordi esilaranti. Per esempio, quando ha avuto una sua personale a New York, in una nota galleria. L’artista che esponeva nella galleria di fronte era un certo Jeff Koons, che già all’epoca vendeva i suoi lavori per un prezzo circa dieci volte maggiore della cifra prevista per i suoi quadri. Questo confronto impari avrebbe scoraggiato chiunque.
Bonami arriva a sostenere che la pittura sia come la corsa: «La pittura è come la corsa: tutti possono correre o provarci. Nessuno può impedirci di fare una corsetta e nessuno può impedirci di dipingere. A volte si vedono delle persone che fanno jogging, ma sembra che non si muovano neppure. Ma che lo fanno a fare, viene da dire. Così davanti a certi orribili dipinti amatoriali e non».
La pittura ha le sue iraconde regole, che consentono un buon risultato, per esempio: la sua riconoscibilità si alimenta del proprio dono, ovvero “bisogna avere la mano giusta perché sia buona” ma se l’artista non riesce a fare un quadro, “il quadro deve diventare l’artista”. In questo marchingegno alla portata di tutti ma talmente distante dalla buona riuscita di molti, Bonami ritiene che chi l’ha capita fino in fondo sia stato Jackson Pollock, chi non ne ha colto il senso è Banksy (e gli street artist in genere). E poi, ovviamente, c’è Morandi che, rimanendo all’interno dei suoi confini limitati, ha raggiunto una dimensione universale.