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Stanze, webcam e social network. Un’indagine sulle nuove forme di abitare il domestico e il contemporaneo
Libri ed editoria
Ci siamo mai soffermati a pensare a come sarebbe lo spazio domestico, se non avesse più confini? Ciò che è intimo e privato diverrebbe pubblico e collettivo. È proprio ciò che sta accadendo oggi attraverso la tecnologia, parte integrante delle nostre esistenze, una compagna di vita così potente da renderci “malleabili al suo tocco” senza nemmeno accorgercene. Sembra un paradosso, ma la tecnologia, qualcosa di virtuale, ha stabilito nuovi modelli dell’esistenza reale contribuendo a varcare i confini possibili dello spazio in cui viviamo.

Sulle tracce di questa riflessione, Davide Tommaso Ferrando, critico d’architettura, curatore e ricercatore, interessato alle intersezioni tra città, architettura e media, basa la sua indagine riguardo le nuove forme dell’abitare.
Vita domestica e contemporaneità digitale creano un intreccio inedito di dimensioni spaziali che trovano una sintesi in questo frammento di City of legends. Stanze, webcam e social network edito da Krisis Publishing: «Nel momento in cui lo spazio domestico, sottoposto allo sguardo panottico dei social network, non si costituisce più come un rifugio bensì come un’ulteriore spazializzazione della sfera pubblica e lavorativa, l’idea di casa come luogo dell’intimità e della privacy si dissolve, lasciando il posto a una serie di prodotti spaziali – gaming house, streaming room, eccetera – che trasformano la casa in uno spazio “trasparente”, all’interno del quale prendono forma nuovi riti domestici altamente mediatizzati».
L’autore indaga queste nuove dimensioni dell’abitare con uno sguardo tecnico, storico e culturale, restituendo una visione alternativa e approfondita sul rapporto tra umani, casa, spazio pubblico e tecnologia. Prendono vita ibridi materiali e immateriali che bucano la spazialità canonica abbattendo i pilastri modernisti dell’architettura, interno, esterno, dentro, fuori, privato, pubblico.
L’abitare contemporaneo si rappresenta attraverso la rivisitazione della canzone di Gino Paoli «quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti, ma algoritmi». I sistemi di calcolo e probabilità sempre più potenti e la fiorente industria del gaming decostruiscono anche la teoria architettonica e in particolare evidenziano l’incapacità di quest’ultima di aggiornare gli strumenti di lettura dell’abitare contemporaneo. Ferrando parla di “spazio cyborg”, al confine tra uomo e macchina, dove due mondi differenti si incontrano e uniscono, fino a rendere non più così chiara la loro separazione. Verrebbe spontaneo chiedersi come ci siamo arrivati e cos’è uno spazio cyborg.
La tecnologia, intesa come l’uso di computer e videogiochi e adesso altri dispositivi di ultima generazione, è entrata a piccoli passi nel mondo a partire dagli anni Ottanta, quando allora bambini e adolescenti vedevano i (pochi) dispositivi come una novità, un mezzo per giocare e ricercare informazioni. Paesi come la Corea del Sud, per esempio, raggiunsero il più alto numero vendite di computer a quel tempo, perché i genitori trovarono utile che i proprio figli potessero usarlo sia per studiare che per giocare. Non è un caso se nello stesso decennio, nel 1985, la filosofa statunitense, Donna Haraway, pubblicò per la prima volta il Manifesto Cyborg, riferendosi ai cambiamenti che il corpo umano avrebbe subito da quel momento fondendosi con le macchine.
Il nostro organismo cessa di esistere solo come umano si fa sempre più macchinico, postumano. Le tecnologie di comunicazione digitale hanno cambiato la concezione temporale e quella spaziale, amplificandolo e rendendolo privo di confini, soprattutto negli ultimi anni, rappresentati dai social network, altra rete/trappola che ci snatura in ibridi sempre meno autentici. Assistiamo a una moltiplicazione delle soggettività che si traducono in spazi che deflagrano in una condizione sempre più immateriale. L’architettura insegue la frenesia digitale e le sue accelerazioni con una temporalità lenta, ma è ancora l’elemento portante delle nostre abitazioni e di ogni spazio che ci circonda. Viaggia controcorrente ma non è esente da contaminazioni che Ferrando con acume critico, evidenzia e indaga.

Nel 1967, lo spettacolo americano Il Carosello del progresso, metteva in scena la “Casa del futuro”, composta da una famiglia riunita nello spazio privato, in diverse stanze della casa. La mamma è intenta a riparare un computer, sua figlia e il nonno seguono in TV una partita ai videogiochi e la nonna ha in testa un visore di realtà virtuale. Dovremmo renderci conto che non parliamo più di un’ipotetica casa futuristica o solo di un fantascientifico universo lontano, bensì della realtà che ci circonda, una realtà alterata e iperconnessa, fatta di complessi legami umani e non, individui e dispositivi tecnologici.
Ecco che oggi i social rendono alcune abitazioni della scenografie teatrali totalmente trasformate: ville di lusso affittate da tiktoker, case adibite a luoghi di sfida tra videogamer, torri di uffici che diventano loro sedi di addestramento o ancora, streaming room senza finestre. Viviamo un presente eternamente iperconnesso.
I nostri “spazi cyborg” in cui la dimensione domestica è stata ridefinita e sconfinata, rendono anche il nostro io più intimo visibile, un po’ come nel Grande Fratello. A quanto pare, stare al mondo funziona così. Siamo attori e spettatori delle nostre stesse vite, afferma Paul B. Preciado. Il filosofo spagnolo parla di “postdomestico”, un interno caratterizzato dalla mancanza di privacy e per questo gli abitanti sono consapevoli della loro condizione doppia di attori e spettatori. Le sue parole sembrano completare l’indagine di Ferrando, grazie alla quale comprendiamo come lo spazio, sia pubblico che privato, è in continuo fermento, come i due si mescolino fino ad abbattere i confini fisici e a fare da collante sono sempre i media e la tecnologia.
Spesso si cerca di trovarne di nuovi, che vadano oltre la concezione di casa che abbiamo radicata nella mente. Ferrando non cerca di proporre una soluzione rivoluzionaria per cambiare il concetto di casa, ma di esaminare le nuove possibilità emerse con l’avvento della tecnologia, soprattutto in relazione all’interazione tra sfera reale e digitale. L’autore sembra suggerire che, invece di cercare di reinventare completamente l’idea di casa, in un momento storico così particolare, dovremmo esplorare e comprendere meglio le dinamiche già in corso, in cui la tecnologia non è solo un accessorio, ma un elemento che ridefinisce la nostra esperienza spaziale e sociale.
Ci invita a considerare come, nel nostro vivere quotidiano, le stanze non siano più solo fisiche, ma amplificate, trasformate e iperconnesse tramite webcam e social network, come se la tecnologia fosse un’invisibile finestra tra noi e il mondo. La casa e la città, spazio privato e pubblico, stanno vivendo una trasformazione radicale, dove gli spazi tradizionali si mescolano con quelli virtuali, e i confini tra l’intimo e il collettivo diventano sempre più fluidi. Sta a noi decidere se voler giocare, stavolta al videogioco della vita, come personaggi principali della realtà dell’abitare e dello stare al mondo, ormai ibridati con la sfera virtuale. Nella postfazione di questa avvincente lettura, Valentina Tanni, attenta studiosa di queste dinamiche culturali afferma e conclude: «Finché avremo un corpo, abiteremo uno spazio, ed è con questa inaggirabile condizione che tutte le nostre espressioni culturali si trovano a dover fare i conti. Ieri, oggi e sicuramente anche nel (vicino) futuro».