Erano ormai diversi giorni che non riuscivo a smettere di rimuginare su questa parola, che rimaneva silenziosa ai margini del pensiero e poi emergeva improvvisamente, mentre pensavo a tutt’altro. La parola era “profanare” e, prima di cercare ogni possibile informazione su di lei, documentandomi da fonti ufficiali, dalle diverse sfumature del vocabolario italiano alle traduzioni in altre lingue, ho voluto prendere il piacere di girarci intorno e indagare per conto mio. Partendo chiaramente dall’origine, dall’etimologia. Profanare, dal greco, quindi pro, davanti, e faino, mostrare, apparire. Cioè? Cosa vorrebbe significare questa associazione di termini provenienti dalla grecità classica? Assolutamente nulla, perché, dopo diverse ore di ragionamenti intricatissimi per motivare questo etimo a dir poco astruso, ho deciso di darci un taglio e appurare cosa effettivamente si nascondesse dietro questa parola. E quindi è venuto fuori che partivo da una radice totalmente sbagliata. Prima di tutto, non si tratta di greco ma di latino, quindi profano è quod pro fano est. Tutto chiaro, finalmente. Ciò che è davanti al tempio, quindi non appartenente all’ambito del sacro ed è in balia del pubblico, del tempo quotidiano degli uomini. Tuttavia, anche una volta scoperta la realtà della parola, ho continuato a provare un certo affetto per quell’errore così ingenuo – prendo un po’ di spazio per rivolgere le mie scuse alla mia brava professoressa di latino e greco del liceo. Ed è sulla scia di questo processo dialettico insorto tra il mio volubile orizzonte di aspettative e la concretezza della lunga, sedimentata e comprovata eredità delle cose, che ho iniziato a sfogliare Il libro delle immagini, una raccolta di contributi scritti da 84 autori, a cura di Bianco Valente (Giovanna Bianco e Pino Valente), edizioni Postmedia Books, prefazione di Brunella Velardi.
Si tratta di un volume chiaramente dedicato alle immagini, come promette la limpida assertività del titolo. Eppure non troverete alcuna traccia di immagini. Un colpo a effetto da consumato scrittore di gialli, à la Simenon. O meglio, troverete le tracce delle fotografie ma potrebbero essere sbagliate. Perché la vocazione di ogni narratore è sempre quella di avanzare e retrocedere tra il vero e il falso, tra l’indizio fuorviante e il plot twist. E infatti, ciò che troverete nel Libro delle immagini sono tracce aleatorie, volanti nel senso gassoso del termine.
A interpretare l’iconico ruolo del MacGuffin, dell’elemento che genera movimento intorno al suo centro, sono 84 fotografie ritrovate da Bianco Valente per caso – se il caso esistesse – tra le bancarelle dell’usato o del vintage, cioè su quelle strutture, di solito provvisorie ed esibite all’aria aperta, alle quali deleghiamo la funzione di riattivare oggetti ormai giunti in prossimità della fine del loro utilizzo. E in effetti, questa esposizione “pubblica” è la loro ultima, romantica speranza. Prelevate e minimamente elaborate attraverso l’apposizione di una cornice, queste 84 immagini sono state quindi inviate ad altrettante persone di diversa età, vissuto, provenienza, collocazione geografica.
84 istantanee slegate per sempre dal loro momento, da quella scintilla originaria ma che, osservate da occhi nuovi, si riaccendono e, in qualche modo, sembrano poter essere riconosciute anche da qualcuno che le vede per la prima volta. Sì, credo di identificare questo paesaggio rurale, posso immedesimarmi in quell’atteggiamento svagato. È incredibile, l’immagine dice con precisione e riesco a capire tutto o, almeno, una parte. Ma anche assolutamente nulla e, in questo caso, la storia potrebbe diventare ancora più interessante.
Ovviamente, in qualche regione della nostra memoria e della nostra immaginazione, qualcosa si è smosso. Stavolta l’etimologia è esatta: pareidolia, dal greco eidolon, immagine, preceduto dal prefisso para, vicino. Illusione pareidolitica, cioè quel processo, sempre operoso negli strati subcoscienti della nostra mente, che porta gli esseri umani a ricondurre conglomerati accidentali di forme, che siano macchie sul muro o nuvole, a profili ben noti e più o meno immediatamente riconoscibili. Ma bando alla freddezza psicoanalitica, anche il sentimento vuole la sua parte. L’empatia, sempre dal greco, en, dentro, e pasco, provare una sensazione gradevole o sgradevole, quindi immedesimarsi, figurarsi, anche senza il ricorso alla comunicazione verbale.
Osservando l’immagine bloccata e superficiale degli eventi, tra rughe di espressione, automobili fuori produzione e vestiti fuori tempo massimo e poi, una volta incanalati sul tracciato della sensazione, lasciarsi trasportare e, infine, suggerire altro, come una falsa etimologia, un fraintendimento da false friend. Un errore nel sistema di trasmissione dei dati che conduce a un territorio sconosciuto, raccontato a parole.
Insomma, nel Libro delle immagini troverete 206 pagine dense di storie scritte da persone che probabilmente non si conoscono e che, riunite da Bianco Valente, svolgendosi in modo assolutamente autonomo, pure si intrecciano, vorticando intorno a una valigetta – forse era un baule, oppure una cassettiera – il cui contenuto, a un certo punto, è stato rivelato. E dentro c’erano delle fotografie, anche se, sfogliando il Libro delle immagini, potrebbe non sembrare.
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