Il James Dean dell’arte, vale a dire Jackson Pollock, per gli anni ’50, il ribelle Mario Schifano per i ’60 e poi Joseph Beuys, lo sciamano, per i ’70. Gli scintillanti e drammatici anni ’80 di Francesca Alinovi e uno squalo, ovvero, il Damien Hirst di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, per i ’90. È una traversata incandescente, che scorre con i ritmi vorticanti di una moderna produzione cinematografica, quella scandita tra le pagine di L’arte quando brucia, ultimo libro di Carlo Vanoni, edito da Solferino.
Cinque decadi di arte che, tra ritorni e fughe, balzi in avanti e attraversamenti, si condensano intorno ad altrettante figure chiave, epicentro di eventi balzati alle cronache e alle enciclopedie ma, soprattutto, di vicende poco conosciute, piccoli momenti che hanno orientato la storia, come il ghiaccio che si scioglie nel bicchiere di whisky di un importante art dealer italo statunitense.
Allestendo una prosa avvincente, Vanoni gioca con il punto di vista narrativo, lo avvicina alle cose e poi amplia lo sguardo nel giro di poche frasi ma sempre in un eterno presente storico che strizza l’occhio al lettore, anche quello meno abituato agli episodi dell’arte contemporanea. Che oltre a essere opera da museo, da galleria e da asta, è fatta di persone, di aneddoti e coincidenze oppure di volontà forti e decise, di incontri fortunati o tragici.
Carlo Vanoni, storico dell’arte, è consulente di varie gallerie d’arte e curatore di mostre. Ha portato in teatro spettacoli di successo (tra cui L’arte è una caramella e, con Leonardo Manera, I migliori quadri della nostra vita), ed è spesso ospite di trasmissioni radiofoniche e televisive. Ha pubblicato per Solferino A piedi nudi nell’arte (2019), Ho scritto t’amo sulla tela (2020), I cani di Raffaello (2021) e Io sono il cambiamento (2023). È ideatore di BienNoLo, la Biennale d’arte milanese.
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