Ci soffermiamo sul libro dedicato allo scultore ravennate Domenico Ponzi, curato da Andrea Iezzi – gallerista, collezionista e storico dell’arte – e pubblicato in occasione della mostra antologica al Museo Civico di Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado, il piccolo borgo della campagna romana che, fin dai tempi del Gran Tour, fu caro agli artisti che lo elessero soprattutto per l’avvenenza delle sue donne: tanto che la fama delle ambite modelle anticolane è giunta intatta sino a noi. E dove l’artista – che proprio una di queste modelle autoctone ebbe in moglie – trascorse buona parte della vita. E dove morì d’improvviso nel 1973 mentre, nel suo studio, incideva il legno con la sgorbia, lasciando incompiuta una Flagellazione in bassorilievo (la fede cattolica lo orientò decisamente verso la rappresentazione del sacro, a cui è ispirata gran parte della sua produzione). Ci è piaciuto intercalare, di tanto in tanto, il peso lieve della lettura con il fragile diletto della visione spigolando la doviziosa crestomazia fotografica delle opere e della vita dello scultore che arricchisce non di poco il volume, come si confà a ogni buon libro d’arte.
Tre i redattori del testo: Piero Lorenzo Ponzi, secondogenito dell’artista, traccia un ricordo introduttivo del padre e le note biografiche. L’intensa attività svolta, a partire dal 1920, nella casa-studio di via Vittor Pisani 28, ubicata nel complesso di case popolari al Trionfale, dove dimorava anche il celebre anarchico Errico Malatesta con cui ebbe una frequentazione; l’amicizia con Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, che ne apprezzava le qualità artistiche; le difficoltà economiche nell’immediato Dopoguerra per la sopraggiunta epurazione decretata dal Governo Badoglio, sono i frammenti di vita che più hanno attratto e coinvolto la nostra attenzione. Il saggio più oneroso è la biografia ragionata redatta da Andrea Iezzi, utilissima per inquadrare la vicenda umana e artistica di Domenico Ponzi – figlio di un’epoca, quella segnata dal Fascismo, condannata e negletta da chi è venuto dopo – evidenziandone le influenze culturali sulla visione plastica negli anni della formazione, le principali linee di ricerca tematica (sacra, rurale, psichica), le frequentazioni, i successi e le cadute. Il terzo contributo è un articolo di Vittorio Sgarbi uscito sul Giornale in occasione dell’inaugurazione della mostra di Ponzi ad Anticoli. «La sua più alta espressione di libertà creativa – sottolinea il noto critico e saggista – inizia con l’avvento del Fascismo… Il suo fascismo è legato all’autenticità del mondo contadino, alla semplicità della vita quotidiana, alla nobiltà del lavoro, riflesse nel “vero” della scultura»; e individua quindi l’apice della sua attività creativa nel capolavoro marmoreo La madre del 1930. Di quest’opera Ponzi realizzò, nel ’42, una seconda versione richiestagli dalla Commissione per gli Scambi Culturali Italo-Tedeschi per farne dono a Hitler. Chiediamo a Iezzi qual è il tratto peculiare della poetica di Ponzi e quale il suo originale contributo al panorama artistico del Novecento. Ed ecco la risposta: «Ciò che rende unico il lavoro di Ponzi è il suo rapporto con il mondo rurale (segnatamente quello di Anticoli Corrado): i contadini di Ponzi sono uomini e donne piegati dalla fatica e dalle necessità quotidiane che, modellati dall’artista, assumono la forma di eroi antichi, citazioni di una classicità del suo tempo. Ponzi guarda all’arte e alle avanguardie del Novecento rileggendole sempre alla luce del suo fare, alla cui radice è il classicismo ottocentesco di matrice naturalista».
Andrea Iezzi, Domenico Ponzi, scultore (1891-1973), Palombi Editori, Modena 2019, pagg. 287, euro 39
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