La sologamia, ovvero l’atto tanto simbolico quanto politico di sposare se stessi, è il tema centrale del primo saggio di Elena Ketra, Sologamia. L’arte di sposare sé stessə (exibart edizioni, in vedita su Amazon). In questa opera l’artista vicentina analizza una pratica che, sebbene ancora poco conosciuta in Italia, si sta affermando come fenomeno globale. Tra teoria e creatività, Ketra interpreta il matrimonio con se stessi come strumento di empowerment personale e riflessione sociale, sottolineando l’importanza di accettarsi e di stabilire un patto di amore e cura verso la propria persona.
Elena Ketra, classe 1984, si è formata all’Accademia di Belle Arti di Venezia e lavora tra Treviso e Roma. La sua pratica artistica si concentra sui temi del femminile, della diversità di genere e dell’autodeterminazione. Tra le sue opere più note spicca Utereyes, un arazzo che rappresenta un utero con occhi vigili, metafora della resistenza contro ogni forma di oppressione. Questo lavoro, esposto anche al Museo Madre di Napoli e selezionato per premi come l’Arte Laguna Prize, è diventato un manifesto della sua poetica: la celebrazione di un’identità consapevole, libera da stereotipi e costrizioni culturali.
Ketra ha esposto presso istituzioni internazionali, tra cui il Silesian Museum di Katowice e la Stichting Artes di Amsterdam, ricevendo riconoscimenti come l’exibart prize per la parità di genere. Il tema della Sologamia è ricorrente nella sua ricerca, come nel caso del progetto digitale Sologamy.org, un’esperienza interattiva che permette agli utenti di celebrare un matrimonio simbolico con se stessi e la cui piattaforma online è in fase di sviluppo.
Nel suo saggio, Ketra utilizza il linguaggio come strumento di riflessione culturale. L’impiego dello schwa (ə) evidenzia il suo impegno per l’inclusività, mentre i capitoli del libro si aprono con mappe semantiche che invitano il lettore a esplorare nuove connessioni tra parole e significati. Ripercorrendo vari casi di cronache recenti e virali, come il self wedding di Britney Spears, l’autrice analizza inoltre come la sologamia venga rappresentata nei media, dai festival ai film, per mettere in evidenza l’emergere di una narrativa popolare che sta ridefinendo i confini delle relazioni personali. Tuttavia, Sologamia è ancora un neologismo e non appare in nessun vocabolario: la Treccani non la cita e su Wikipedia è presente solo la versione inglese, “Sologamy”.
«Per poter contestualizzare e cogliere le diverse sfumature del fenomeno – spiega l’autrice – ho riflettuto prima sul significato delle parole che descrivono i principali tipi di unione, passando poi alla storia del matrimonio, all’importanza delle sue promesse, approdando successivamente alla sfera più intima dell’individuo e della percezione che ha di sé e di come si sia sviluppata una nuova consapevolezza, oltre i confini di ruoli e stereotipi prestabiliti».
La sologamia non esclude relazioni con gli altri, ma mira a rafforzarle, partendo dalla costruzione di una sicurezza interiore. Per Ketra, sposare se stessi è un atto simbolico di emancipazione che scardina le norme imposte, rivendicando il diritto alla libertà individuale. Con Sologamia, l’artista documenta un fenomeno culturale ed amplia il discorso per aprire una riflessione sull’identità e sulle possibilità offerte dall’arte come spazio di sperimentazione sociale.
«Il matrimonio con se stessə non esclude altre relazioni – precisa ancora Ketra – che anzi tenderanno a diventare più forti e più profonde. Sentirsi sicurə, autonomə e appagatə significa essere in grado di riconoscere le relazioni più vere e soddisfacenti, e poter intercettare invece quelle potenzialmente tossiche. Sposare se stessə come atto di empowerment ed emancipazione. Sposare se stessə per scardinare gli stereotipi di genere, per ribellarsi alle pressioni sociali e culturali che impongono ruoli e regole di vita uniformanti e per manifestare la nostra libertà di scelta. Questa è l’arte di sposare se stessə».
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