Arnold Newman è riconosciuto come il maestro dei maestri: è infatti il grande ritrattista dei più grandi artisti e uomini di cultura della seconda metà del ‘900. Sue sono le celebri foto di Stravinskij, Picasso, Man Ray, Duchamp, Bacon, Chagall, Pollock, Arp, De Kooning e tantissimi altri, nonché le foto di stato di presidenti americani come Reagan, Kennedy e Ford, o di altri politici come Francisco Franco, Itzhak Rabin e Golda Meir. Sue ancora sono le foto dei più grandi designer e architetti, gente come Wright, Pei, Kahn, o di scrittori come Nabokov e Cocteau, e poi attori, scienziati, sceneggiatori, prelati, fotografi, compositori, industriali… Infinita è la schiera di personaggi che questo vecchio fotografo americano può vantare nel suo portfolio.
Si parla spesso di Newman come del maestro del ritratto ambientato, ovvero di quel tipo di ritratto che contestualizza il soggetto nel suo ambiente. Effettivamente osservando le foto non si può non rimanere colpiti dall’estrema fantasia di questo fotografo nel costruire degli improvvisati set fotografici in location, spesse volte anche di difficile interpretazione. La sua abilità risiede nel capire la personalità della persona ritratta e proporla con fervida immaginazione e istantanea presa di coscienza in un ambiente che la rispecchi e che ne esalti le caratteristiche peculiari. In questo senso è inquietante il ritratto di Francis Bacon sotto una lampadina pendente dal soffitto o la figura misteriosa di Marcel Duchamp accanto a una finestra, così come è fantascientifico il ritratto di Shannon, autore del noto teorema e pioniere dell’informatica.
Ma se ci si limitasse a questo, Arnold Newman non sarebbe stato celebrato come il più grande ritrattista del ‘900. Esiste in Newman una profonda consapevolezza della personalità dell’essere umano di fronte al suo obiettivo, che sia la sua spavalderia o il suo cinismo, la sua tristezza o la sua nostalgia, il suo narcisismo o la sua incertezza. Tutte componenti che Newman sente, percepisce e rigenera su film. I ritratti infatti, sebbene accomunati dallo stesso stile, non presentano la stessa identità, ma si costruiscono sul momento, seguendo l’istinto predatorio del ritrattista, di colui che vuole tirare fuori l’anima dalle persone: non esiste una regola di luce o di inquadratura – grande pregio di Newman è non soffermarsi sui tecnicismi (la gran parte delle foto sono scattate in luce ambiente) – ma queste sono costruite a partire dal feedback che il fotografo riceve dal soggetto. Si possono trovare quindi ritratti oscuri e cupi, come ritratti introspettivi o positivi. A legame di tutto ciò c’è la “statuarietà” del soggetto, la sua immensa importanza nella foto, il suo peso: l’ambiente circostante è solo un contorno, tutta la lettura della foto è negli occhi e nell’espressione del soggetto. L’ambiente serve a descrivere il mestiere, l’espressione descrive il carattere e l’animo del soggetto.
L’edizione Taschen è come sempre economica e ben curata, con una buona introduzione al lavoro di Newman da parte di Philip Brookman, e una grafica essenziale: non servono fronzoli per raccontare le forti immagini di questo fotografo.
Si tratta di un’opera imperdibile per tutti gli amanti del ritratto, che troveranno in esso una fonte inesauribile di idee e situazioni, un’estrema capacità di mirare sul soggetto al di là di luci, composizioni e quant’altro. Le sua immagini, oltre ad attraversare 50 anni di storia della cultura mondiale, rappresentano un ampio panorama sui visi e il carattere di quegli artisti che osanniamo nei musei, nelle sale da concerto, nelle piazze, nei libri, nei teatri delle più importanti città del mondo.
A cura di Filippo M. Caroti
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