Solo alcuni fortunati collezionisti ormai possiedono le poche copie stampate dei libri più famosi di questo misterioso artista newyorkese, libri che hanno scritto la storia del neo-surrealismo americano degli anni ’70 e ’80
(Open Space in the Inner City, The Dream Collector, Theater of the Mind, per citarne solo alcuni). Questo libro della casa editrice Stemmle, ben curato nella stampa e nella grafica, è uno dei vari che sono stati pubblicati come antologia del lavoro di Tress e presenta una retrospettiva dagli anni ’50 al 1995. Nato a Brooklyn nel 1940, studia storia dell’arte e cinematografia. I suoi primi scatti risalgono già ai primi anni ’50, scatti certamente semplici, ma che rispecchiano una pesante solitudine del suo animo. E proprio la solitudine, e l’irrealtà del mondo che essa gli presenta, finirà col caratterizzare l’arte di Tress mano a mano che egli prenderà consapevolezza del mezzo fotografico e del mondo interiore che lo tormenta. La figura paterna è dominante nella vita di Arthur Tress: per lunghi periodi della sua vita, Tress si trova a vivere solamente con suo padre, dovendo far fronte alla continua malattia di costui fino al giorno del suo decesso. Ed è questa lunga agonia a rinforzare in lui i concetti di Malattia e Morte: egli arrivò a dire della macchina fotografica che è “uno strumento devoto alla morte”. Nel 1972, dopo numerosi viaggi, tra cui quelli in Messico e quello negli Appalachi, dove inizia il processo di trasformazione del linguaggio da lui usato per comunicare la realtà percepita attraverso l’obiettivo, pubblica The Dream Collector, un libro sugli incubi e le ossessioni da cui sono torturati i bambini, foto scattate con impietosa lucidità e surreale finzione. In esse Tress riversa la sua infanzia e adolescenza, la sua timidezza, la sua solitudine con “lo stesso potere di immaginazione di un bambino di 14 anni”.
Ma non si fermò lì. In Theater of the Mind, pubblicato nel 1976, mette in piedi un’agghiacciante introspettiva su miti e rituali della condizione sociale e psicologica americana: un’opera di straordinaria potenza evocativa che decreta la fine della percezione realistica della realtà. In scena ci sono ora personaggi allucinati, vuoti, automi che eseguono azioni semplici, ma incomprensibili, comandate dal solo rifiuto verso lo stato normale delle cose. Il libro della Stemmle propone cronologicamente anche spezzoni dei lavori precedenti e successivi, tra cui quello della serie sulle fantasie omosessuali, in cui Tress evidenzia i timori ancestrali di castrazione e penetrazione, e della serie di still life, in cui viene sublimata, nella costruzione concettuale della scena, tutta la sua filosofia surrealista. Arthur Tress rimane a tutt’oggi il fotografo più visionario e concettuale che la fotografia abbia avuto, un artista capace di condensare in un’ immagine dramma, dolore, pazzia, solitudine e storia.
A cura di Filippo M. Caroti
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