Come è noto, il Novecento è stato il secolo dei “gruppi”, di grandi movimenti artistici e culturali, a partire dalle Avanguardie storiche dei primi decenni, fino ad arrivare alla seconda metà inoltrata. Quest’ultima, infatti, si è presentata come un coacervo di orientamenti creativi, che hanno dato origine a discussioni, antitesi e dualismi inconciliabili: posizioni fortemente caratterizzate da personalità di indubbio spessore, da punti di vista originali, da progetti di notevole importanza che hanno coinvolto singoli artisti, gruppi operativi e comunità.
Tracciare le linee fondamentali di questi sviluppi non è certamente un’impresa facile, considerato i rischi di semplificazioni eccessive e schematiche o, peggio, di ottiche di parte che spesso non tengono conto della complessità e stratificazione degli eventi. Parafrasando Carlo Emilio Gadda potremmo dire che la realtà – anche quella culturale e artistica – è uno gnommero, molto più complessa di quella che si vuole mostrare nelle schematizzazioni. Ma c’è chi, con stile e rigore, ripercorre uno dei più significativi segmenti della parabola artistica italiana: quello che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. E qui si parla di Giulio Ciavoliello.
Docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Brera, nonché fondatore della ormai mitica Artshow e della rivista Combo, Ciavoliello ci invita a riflettere – con il suo ultimo saggio, edito da Marinotti, dal titolo Fuori dal coro. L’arte libera dalle ideologie al tempo della contestazione – su alcuni temi fondamentali attorno ai quali si è sviluppata la ricerca artistica in Italia. In primis emerge la vexata quaestio dell’autonomia dell’arte, la rivendicazione della sua indipendenza dalla dimensione politica. Questione che ha visto contrapposti fronti diversi, posizioni intransigenti proprio durante il periodo della contestazione.
A titolo di esempio riportiamo alcune posizioni ben evidenziate dall’autore; come quella di Pino Pascali (reduce dalla famosa contestazione alla Biennale di Venezia del 1968) il quale affermava che: «L’artista deve essere isolato poiché solo così può responsabilizzare al massimo il proprio gesto, senza andarsi a cercare un appoggio collettivo». Per non parlare di Luciano Fabro che nel 1970 a una mostra nel Palazzo Ricci di Montepulciano, presenta una registrazione in cui senza mezzi termini afferma: «Cittadini, consideratemi irresponsabile di quanto succede!».
E potremmo continuare pescando da “Fuori dal coro” altre locuzioni significative, passate alla storia, come quella di Elio Vittorini in una lettera inviata a Palmiro Togliatti dirigente del Partito Comunista. Il fondatore de Il Politecnico pur consapevole dell’impossibilità di separare completamente cultura e politica non ritiene che chi «suona il piffero per una politica rivoluzionaria è meno arcade e pastorello di chi suona per una politica reazionaria o conservatrice». E, via di seguito, si potrebbe continuare citando Enrico Castellani: «L’arte è una cosa, l’impegno politico un’altra». Sul lato “opposto”, la posizione di un Enrico Crispolti nel suo Arti visive e partecipazione sociale pubblicato a ridosso della Biennale del 1976 dal significativo titolo Ambiente come sociale, il quale afferma che per l’artista si richiede «Una dimissione dal piedistallo di individualismo narcisistico più o meno scoperto. Il che non vuol dire abdicazione individuale, ma certo rinuncia individualistica». Prospettando un nuovo profilo per l’artista che si presenta come «Un sollecitatore… di una partecipazione che rappresenta un momento di crescita autoconoscitiva altrui». Posizione – quest’ultima – attestante un concetto di arte in “espansione” visto il clima caldo degli anni Settanta e alle molteplici problematiche sociali e politiche.
Naturalmente a distanza di tanti anni si palesa inequivocabilmente la relatività dei differenti punti di vista, delle premesse e degli obiettivi da cui è vano scorgere un principio di “superiorità”, se non la consapevolezza che “l’io individuale” e “l’io sociale e politico” nella prassi dell’arte, e non solo, costituiscono due esigenze o, se si vuole, “urgenze”, della coscienza in formazione.
Stessa cosa per altri dualismi messi in luce da Ciavoliello: astrazione- raffigurazione, forma pura e rappresentazione, iconico- aniconico; il rapporto con la storia, ora ripudiata (già dai futuristi) ora ricercata e ripescata; élite o comunità di appartenenza; tutti riscontrabili nei vari movimenti, nei gruppi operativi, nei progetti di mostre storiche. Si pensi agli inizi, al gruppo FORMA 1, Arte povera + azioni povere 1968, a progetti come Amore mio 1970, dove prevale “l’io” invece del “noi”; a Volterra 73, all’operazione Arcevia, alle operazioni di Ico Parisi (1972) tese far rinascere una comunità, al Progetto Gibellina, alla Biennale di Venezia del 1976. E questo solo per nominarne alcune.
E per quanto riguarda le singole personalità della critica e della curatela, molto appropriatamente Ciavoliello si sofferma sulle figure di Harald Szemann (Documenta 5, 1972), Renato Barilli (La ripetizione differente, Studio Marconi 1974); come quelle di Lea Vergine, Francesca Alinovi e in particolare Carla Lonzi, evidenziando lo spostamento operato da quest’ultima da Autoritratto alle sofferte battaglie per i diritti delle donne. E quindi al passaggio ad una azione politica, al rapporto tra arte e società.
Così per tornare al tema iniziale dell’autonomia e dell’impegno, di chi è “dentro o fuori dal coro”, segnaliamo quanto preziosamente testimoniato da Lucilla Meloni nel suo importante saggio, Le ragioni del gruppo (Postmedia Book 2020), titolo mutuato da un articolo di Giulio Carlo Argan pubblicato sul messaggero 1963, Le poetiche, il quale in quegli anni affermava che «…Non per eccesso di difesa i gruppi si formano oggi sulla base di precisi programmi operativi invece che di vaghe affinità elettive, ma per controllare criticamente l’operatività di poetica e cioè per incorporare la critica nell’operazione estetica».
Giulio Ciavoliello, Fuori dal coro. L’arte libera dalle ideologie al tempo della contestazione. Editore Christian Marinotti. Euro 22.00, ISBN 9788882731861
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