A un anno dalla scomparsa di Germano Celant, Silvana Editoriale, in collaborazione con Studio Celant, pubblica uno dei suoi ultimi lavori, rimato incompiuto e portato a compimento dallo staff del suo Studio: “The Story of (my) Exhibitions”, un volume di 562 pagine dedicato a 34 mostre da lui progettate e curate tra il 1967 e il 2018, ripercorse attraverso più di 300 immagini di cui molte inedite, un’ampia raccolta di documenti e testi critici.
«Per cinquant’anni ho praticato diverse scritture: la teorica per la stesura saggi, l’editoriale per la costruzione di libri e di cataloghi, e infine l’espositiva […]. “The Story of (my) Exhibitions” tenta di portare l’attenzione su quest’ultimo tipo di scrittura» aveva affermato Germano Celant in merito al volume che stava realizzando.
«Celant – ha spiegato Studio Celant – stava lavorando da tempo a un progetto editoriale che fosse la sintesi della sua ampia indagine critica e questo volume, di cui ha seguito tutte le fasi di lavorazione, ne rappresenta l’esito. In ognuna delle mostre presentate al suo interno è possibile riconoscere il metodo curatoriale attraverso il quale, avvalendosi di diversi linguaggi e media differenti nell’accostare opere d’arte e materiale documentario, giungeva alla creazione del dispositivo ‘mostra’. Lo Studio Celant ha lavorato insieme all’editore Silvana Editoriale per fare in modo che la pubblicazione fosse realizzata seguendo la sua idea originale».
Il volume sarà disponibile in libreria e online a partire da domani, 30 aprile.
A che punto Germano Celant ha lasciato il volume? Che tipo di materiale ha lasciato che vi ha consentito di proseguire in maniera fedele al suo progetto?
«L’idea di “The Story of (my) Exhibitions” nasce qualche anno fa: Celant aveva pensato di realizzare una pubblicazione dedicata al suo lavoro di curatore, con la scelta di concentrarsi su una selezione di mostre collettive. Da qui è iniziata la ricerca dei materiali, che è stata condotta all’interno del suo archivio come anche all’interno degli archivi delle istituzioni che le hanno ospitate e degli archivi di alcuni dei fotografi che di volta in volta le hanno documentate. Successivamente ha selezionato testi e immagini da inserire nella pubblicazione e ha lavorato con il team della casa editrice, Silvana Editoriale, alla progettazione del layout grafico per “ordinare” e dare una forma al materiale scelto. Si può quindi dire che Celant ha seguito interamente la realizzazione del volume, che contiene anche un contributo inedito: un’introduzione, sotto forma di intervista, che, tramite un focus sulla sua personale metodologia, permette di avere la sua chiave di lettura sul proprio lavoro».
Con quale impostazione Celant voleva raccontare la storia delle sue mostre e secondo quali criteri aveva selezionato le 34 mostre che avrebbero fatto parte del volume?
«Le esposizioni selezionate sono quelle considerate tra le più significative all’interno del suo percorso di curatore. Si parte infatti dalla prima mostra dedicata all’Arte Povera, presso la Galleria La Bertesca di Genova nel 1967, fino ad arrivare a “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943”, presso la Fondazione Prada a Milano nel 2018, passando per tappe importantissime: “Ambiente/Arte” alla Biennale di Venezia nel 1976, “Identité Italienne” al Centre Georges Pompidou di Parigi nel 1981, “The Italian Metamorphosis 1943-1968” al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1994, “Arti & Architettura 1900/2000” a Genova nel 2004, per citarne solo alcune.
Il racconto si sviluppa presentando le esposizioni attraverso un’alternanza di testi e immagini, per sottolineare la stretta connessione esistente nel lavoro curatoriale di Celant tra contributo teorico, rappresentato dai saggi inclusi nei cataloghi e nelle pubblicazioni connesse alle mostre, e contributo visivo, visualizzato dalle immagini degli allestimenti progettati per ogni esposizione».
Quali sono i nuclei principali attorno a cui si sviluppano i contenuti del volume?
«Il primo nucleo è costituito dell’Arte Povera e della sua successiva rilettura in chiave storica con le mostre “Coerenza in coerenza” alla Mole Antonelliana di Torino nel 1984, “The Knot Arte Povera at P.S.1” a New York nel 1985, “Arte Povera 2011” organizzata nei musei di sette città italiane nel 2011. Un secondo nucleo è costituito dalle vicende dell’arte italiana del Novecento con le mostre “Identité Italienne” al Centre Georges Pompidou di Parigi nel 1981, “Arte Italiana. Presenze 1900-1945” a Palazzo Grassi nel 1989, e “The Italian Metamorphosis 1943-1968” al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1994.
Un altro è quello della contaminazione tra linguaggi: arte e moda nella Biennale di Firenze “Il Tempo e la Moda” del 1996, arte e architettura in “Arti & Architettura 1900-2000” a Genova nel 2004, arte e musica in “Art or Sound” alla Fondazione Prada di Venezia nel 2014, arte e cibo in “Arts & Foods” alla Triennale di Milano nel 2015. Infine, si trovano le tematiche della ricostruzione ambientale e del reenactment in “Ambiente/Arte” alla Biennale di Venezia del 1976, “When Attitudes Become Form. Bern 1969/Venice 2013” presso la Fondazione Prada di Venezia nel 2013, e “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943” presso la Fondazione Prada di Milano nel 2018».
Che ritratto di Celant e del suo percorso di ricerca e sperimentazione emergono dal volume?
«Dal percorso disegnato dalle mostre presentate nel volume, emergono molti dei concetti fondamentali su cui Celant ha basato il suo lavoro: il rigore metodologico della ricerca che sostiene le scelte curatoriali, la contestualizzazione del linguaggio artistico all’interno di una visione più ampia della storia, l’osmosi tra i diversi linguaggi che si risolve nell’interesse rivolto ai media non tradizionali, il costante confronto con gli artisti e con le altre figure professionali coinvolte nella realizzazione di un’esposizione, e infine la centralità dell’esperienza di fruizione, che si traduce nella modificazione e riprogettazione dello spazio espositivo in funzione del suo contenuto. Mentre alcuni di essi sono radicati sin dall’inizio, altri sono acquisiti e si rafforzano nel corso di un’attività, durata oltre cinquant’anni, che ha lasciato un segno indelebile nella storia delle esposizioni».
Quale grande capitolo della storia della curatela emerge guardano queste 34 mostre nel loro insieme?
«Più che di capitolo sarebbe forse più corretto parlare di diversi capitoli. Questi raccontano, da un punto di vista interno, una storia che va dall’iniziale volontà di superare i precedenti dogmi espositivi tramite operazioni di “smantellamento” e di riduzione, fino alla trasformazione della “scatola espositiva” in ulteriore strumento di lettura del suo contenuto, attraverso soluzioni di grande impatto visivo ma sempre sorrette da una logica rigorosa. Da oggi in poi sarà necessario riprendere questa storia e rileggerla da altri punti di vista per comprenderne appieno la portata e metterne a fuoco l’eredità futura».
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