Categorie: Libri ed editoria

Gli eccessi di Pollock, la misura di Rothko, in un nuovo libro di Gregorio Botta

di - 21 Novembre 2020

Una prosa limpida e scorrevole, priva di inutili e fumosi tecnicismi, per raccontare le vite di due giganti dell’arte mondiale del Ventesimo secolo: Jackson Pollock (1912-1956) e Mark Rothko (1903-1970). Ma oltre ad un’indiscutibile chiarezza, il pregio maggiore del bel libro di Gregorio Botta Pollock e Rothko. Il gesto e il respiro è la capacità dell’autore di scavare nelle vite personali dei due maestri, per avvicinarli a noi in maniera davvero efficace, raccontandoli non solo come geni dell’arte, ma prima di tutto come persone, senza eliminare le debolezze, le ansie, i vizi, le ossessioni che appartengono a tutti noi.

Non solo tele e pennelli, mostre e musei, ma aneddoti e frammenti di vita reale che punteggiano le due biografie parallele – dove le figure femminili sono ritratte come provvidenziali e metodiche salvatrici –  ricostruite dall’autore grazie ad un profondo lavoro di ricerca, del quale dà conto nell’ultima pagina del volume.

Le tre donne della vita di Jackson Pollock

Partiamo da Pollock: uomo insicuro, irascibile e collerico, che riesce a dipingere quasi soltanto in presenza della forte e volitiva madre Stella, la quale accudisce i suoi cinque figli maschi insegnando loro l’amore per la creatività, a differenza del marito Roy, agrimensore eternamente insoddisfatto e squattrinato, che li voleva «farmer cow-boys capaci di svolgere tutti i mestieri richiesti in una fattoria dell’ovest», racconta Botta.

Così Jackson cresce quasi come un disadattato, pronto a rifugiarsi nell’alcol: lo aiuterà a diventare artista Thomas Hart Benton e l’amicizia con il muralista messicano David Siqueiros, che Pollock cercherà di strangolare in preda ad una sbronza colossale. Finito sotto lo sguardo distaccato e scettico di Peggy Guggenheim, che non ama la pittura di Jackson, viene salvato dai favori di Piet Mondrian e Marcel Duchamp, che la convincono a fargli un contratto per esporre nella sua mitica galleria newyorchese, Art of this Century.

Ma chi salva davvero Pollock dalla sua autodistruzione è sua moglie, la pittrice Lee Krasner: «la vera opera d’arte di Lee fu Jack», disse un amico. Con lei trascorrerà i due anni migliori della sua vita ad East Hampton, nel piccolo villaggio di Springs, dove tra il 1945 e il 47 Pollock smette di bere e sperimenta la tecnica del dripping per dipingere alcuni dei suoi massimi capolavori, come The Water Bull, The Tea Cup o Blue Unconscious.

Disperato solitario Rothko

E Rothko? Malinconico, saturnino, polemico e terribilmente solo: «era l’uomo più solitario che abbia mai incontrato, veramente disperatamente solo», ricorda la pittrice Regina Bogat, che lo ha frequentato a lungo. A differenza della pittura di Pollock, veloce e vulcanica, la sua è lenta e ossessiva: come scrive Botta, «avrà passato più tempo a guardare i suoi quadri che a dipingerli». Ma Rothko ama guardare anche i capolavori del passato, come gli affreschi del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze, che l’artista visita la prima volta durante un viaggio in Italia nel 1950.

Uno degli episodi della sua lunga e farraginosa carriera, al quale il libro dedica molto spazio, è la storia della commissione dei Seagram Murals per il ristorante del Four Seasons nel grattacielo della Seagram corporation a New York. Per Mark, di fede comunista, questo lavoro diventa un’ossessione: dipinge decine di tele, fa un secondo viaggio in Italia nel 1959 alla scoperta di grandi cicli di affreschi e a Paestum pronuncia la famosa frase «Ho dipinto templi greci tutta la vita senza saperlo». Torna a New York e decide di risolvere la situazione con una cena al ristorante, dove spende una cifra enorme. Il giorno dopo decide di recidere il contratto.

Ma la fatica non è stata inutile, anzi: alla critica d’arte Dore Ashton dichiara che i Seagram Murals non sono solo quadri, ma con quelle tele ha creato un luogo. E quel luogo diventerà il suo capolavoro assoluto: è la Rothko Chapel nella collezione De Menil a Houston,  inaugurata  nel 1971 (e recentemente riaperta dopo i lavori di restauro), un anno dopo quel fatidico 25 febbraio 1970, quando Rothko si toglie la vita. «Voglio dipingere sia l’infinito che il finito», aveva scritto l’artista a Dominique De Menil. Dipinge la morte prima di mettere fine alla sua vita.

L’eccesso è la cifra di Jackson, la misura quella di Mark. Raccontati da Botta, sembra di averli conosciuti da sempre.

Gregorio Botta, Pollock e Rothko. Il gesto e il respiro, Einaudi Stile Libero, 194 pg, 15 €

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