Ironico, divertente, eppure lucido, diretto, pregnante. How to not fuck up your art-world happiness (come non rovinare – mandare al diavolo, o qualcosa di simile – la tua felicità nel mondo dell’arte) è il nuovo volume scritto da Christoph Noe, art entrepreneur e co-fondatore di Larry’s List. Una raccolta di 60 consigli tutti numerati, tutti argomentati, da leggere anche in ordine sparso – quasi una bocca della verità da interpellare all’occorrenza, quando perfino l’arte non sembra poi così leggera. «Non viaggiare 24/7», dice. «Sii generoso», «Vivi in modo sano durante gli eventi d’arte», «Controlla la tua FOMO». Abbiamo incontrato l’autore e questo è il risultato della nostra chiacchierata, tra aneddoti e riflessioni su un mondo non esattamente lineare.
Come è nata l’idea di questo libro?
«La maggior parte degli argomenti di cui ho scritto mi frullavano in testa già da un po’ di tempo. Ne ho parlato con amici, colleghi e confidenti del settore. Mi sono reso conto che cercare di essere felici nell’industria artistica e culturale sia un argomento che vale la pena discutere in una cerchia più ampia, così ho deciso in modo piuttosto spontaneo di mettere insieme le mie idee in un volume. La mia casa editrice VFMK di Vienna, con cui avevo già collaborato in passato, mi ha aiutato a realizzarlo: dall’idea al lancio nel giro di 2 mesi e mezzo».
Come lo definiresti? Un manuale, una guida, …?
«Una favola? Ma basata su esperienze vere. “Guida” suona così edificante ed educativo. Non si tratta di spuntare una voce per una, mi interessava piuttosto condividere il messaggio che molti di noi amano la scena e l’industria dell’arte e della cultura, ma che ci sono diverse cose che potremmo fare insieme per renderla più calda, più ispirata, più umana».
A chi ti rivolgi, quindi?
«Anche se il titolo suggerisce come obiettivo persone che operano nella scena dell’arte – dal personale delle gallerie a quello delle case d’asta – abbiamo ricevuto il feedback che molti pensieri siano in realtà davvero simili a quelli di altre discipline, a partire dalle arti performative».
Parlando di target, c’è qualche punto specifico che dedicheresti a un collezionista neofita?
«Assolutamente sì! Molte persone accumulano opere. Ma le collezioni davvero significative non sono semplici assemblaggi, sono quelle che hanno una narrazione, una trama, che riflettono la persona del collezionista. Quindi la mia proposta: non seguiamo tutti gli stessi artisti. So che non è facile con l’algoritmo attuale e con la bolla che si è creata, ma l’offerta creativa là fuori è così ricca e ampia. Vale la pena di sfruttare la varietà e trovare qualcosa che vi entusiasmi, al di là di un possibile ritorno economico. E un altro consiglio pragmatico: date un’occhiata al design da collezione. Non è ancora così congestionato come l’arte contemporanea».
Il consiglio per un collezionista veterano?
«Probabilmente direi più o meno la stessa cosa. I collezionisti più affermati sembrano seguire lo stesso canone artistico, tutti vanno a caccia della stessa cosa. Boring!».
Per un artista, invece?
«Equilibrio tra la creazione di contenuti e il gridare i propri contenuti».
E per un giovane gallerista?
«Ah, mi stai chiedendo tutti i partecipanti della scena artistica! [Ride] Non voglio dare l’impressione di essere l’oracolo dell’arte che dà suggerimenti a tutti. Ho molti amici che si possono definire giovani galleristi. Quelli che considero felici, seguono sostanzialmente due linee: eliminano l’eccesso e si concentrano su ciò in cui credono di più. Poi ovviamente è necessario iniziare con un lungo respiro. Se non siete dei buoni automotivatori, la strada potrebbe essere molto più difficile».
Ti chiedo: quali sono i rischi maggiori per chi intraprende una carriera nel mondo dell’arte di oggi?
«Ci si lascia rapidamente coinvolgere dal pensiero e dalle strutture aziendali, non si rischia (o non si ha la possibilità di rischiare), spesso si segue solo il mercato. In molti decidono di intraprendere una carriera artistica perché seguono la loro passione, ma ben presto si rendono conto che si tratta di un’attività commerciale come per qualsiasi altro settore. La magia si perde. Ma ci sono tanta magia e tanta energia e importanza nell’arte e nel processo di creazione culturale. Non dobbiamo pensare che sia solo un mercato come tutti gli altri. Vi prego di non perdere i vostri ideali».
“Le collaborazioni sono la chiave” è uno dei punti che più sembra sintetizzare la tua visione. Quanto conta (e ha contato) per te collaborare e creare sinergie con altre realtà, nei tuoi progetti?
«È un processo continuo. Se mi chiedi quali sono i miei momenti importanti, non ti rispondo di certo “sedermi da solo al computer e creare un ppt”. Quello che conta per me è discutere, condividere pensieri, idee, essere ispirato da altre persone. Non credo che da ogni riunione debba “uscire qualcosa”. Il solo scambio di idee è una forma di collaborazione, e spesso si giunge alla confortante conclusione che ci siamo dentro insieme. Sembra molto astratto. Quindi più pragmatico. Ci piace condividere sul nostro IG artisti che forse non sono molto conosciuti, ci piace mostrarli al nostro pubblico. Spesso sentiamo dire dagli artisti che questo li porta a conoscere nuove persone, magari a essere notati da una galleria, a vendere qualche opera… Certo, non siamo noi a fare la carriera di un artista, ma possiamo svolgere un piccolo ruolo in questo senso».
Vuoi condividere un esempio recente?
«Nel nostro prossimo report sui musei d’arte privati collaboriamo con l’Università di Amsterdam fornendo loro il nostro database come base per ulteriori ricerche. Siamo convinti che la condivisione delle conoscenze sia fondamentale».
Per concludere: come non rovinare la nostra felicità nel mondo dell’arte?
«Come nella vita in generale: la felicità spesso non arriva automaticamente. Bisogna lavorarci su».
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