Introdotta da Gilles Deleuze e Félix Guattari nel fondamentale saggio Mille Plateaux, la figura del rizoma, mutuata dalle scienze botaniche, indica l’opposto di radicamento, linearità e gerarchia. Crescendo orizzontalmente, questa conformazione mantiene una struttura diffusiva, reticolare, anziché arborescente. Anti-albero, anti-radice, anti-sistema: non deve assolutamente essere intesa come metafora, bensì come modalità di conoscenza. Il procedimento cognitivo sarà inteso come un’emanazione originaria di sensualità e condivisione. Giocata simbolicamente contro la tradizionale immagine filosofica di un sapere verticale, alla quale Deleuze e Guattari attribuiscono un’intrinseca valenza politica repressiva, l’orizzontalità rizomatica si caratterizza come il movimento stesso del desiderio. Il rizoma è una carta. Superficie e, insieme, regola che non riproduce ma crea, essa agisce in connessione con i contenuti di cui è custodia e norma.
L’arte contemporanea ha legato indissolubilmente i propri sviluppi ad un’impostazione innovativamente orizzontale. I concetti di catalogo, serialità e collezione hanno informato l’opera degli artisti, intrecciandosi inevitabilmente con riflessioni sulla percezione spazio-temporale e con necessarie considerazioni sui valori della storia dell’arte e della società.
Elio Grazioli, nel volume La Collezione come Forma d’Arte, edito per Johan & Levi, analizza il reciproco legame tra collezionismo ed esperienza estetica. Partendo da un’analisi storicistica, il testo rintraccia, attraverso i secoli, le radici del fenomeno contemporaneo per giungere alla definizione dei momenti in cui le modalità espressive del collezionismo si sono sovrapposte fino a confondersi con la pratica artistica. Rispetto alla raccolta istituzionale dei musei, chiusa e preordinata da criteri indiscutibili, l’autore predilige la dimensione privata e creativa della collezione. L’artista che, in questo senso, indaga le ragioni di un collezionismo passionale e fortemente personalizzato, può arrivare alle ridefinizione delle prerogative dell’arte e alla messa in discussione delle classiche imposizioni museali.
Dalle Wunderkammern cinquecentesche, stanze delle meraviglie in cui eccentrici signori radunavano le loro stravaganti raccolte, il testo ripercorre i tempi in cui il collezionismo privato ha esercitato un’influenza profonda sulle fluttuazioni dei mercati e sulle gerarchie dei valori istituzionali, favorendo la nascita della concezione moderna di critico e curatore. Con Gertrude Stein e André Breton, l’arte inizia a fare proprie queste dinamiche. L’oggetto è definitivamente privato del suo possibile utilizzo pratico, e diventa emblema, talismano, opaco grumo di simboli. Feticci e simulacri iniziano ad affacciarsi in uno scenario artistico segnato dall’esperienza della psicanalisi. Le smanie di possesso e di catalogazione rappresentano il contenuto privilegiato della produzione di scrittori e pittori, mentre l’arte riprende forma, ripiegandosi su se stessa. Chiave di lettura dell’intero assunto sembrerebbe essere Mnemosyne, opera di Aby Warburg, storico dell’arte vissuto in questo periodo. Bibliomane e collezionista, l’autore raccoglie un particolare atlante di immagini. Gli accostamenti non derivano più dal possibile paragone, ma dallo scarto, dalla deflagrazione del senso. Introdurre infinite differenze in seno all’unità di significato sembra essere l’intuizione fondante. In questo modo, accumulando tensioni tra i livelli di realtà, lo storico dell’arte giungerà all’individuazione di Pathosformeln, immagini archetipiche che ritornano in contesti differenti attraverso i secoli. Esempio di innovativa modalità di conoscenza, basato su raccolta e associazione, il lavoro di Warburg apre nuove strade all’arte contemporanea.
Gerhard Richter con il suo Atlas, un particolare work in progress iniziato nel 1962, ci suggerisce direttamente che ogni pittore colleziona prima di dipingere, che sceglie i soggetti del proprio lavoro esattamente come un collezionista ricerca i pezzi della propria raccolta. Marcel Broodthears,con Ma Collection del 1971, realizza un’opera che si presenta esplicitamente come una collezione privata e personale. In essa ricorrono i cataloghi delle esposizioni a cui l’artista ha partecipato e un ritratto di Mallarmé, omaggio al poeta e dichiarazione estetica. Quest’ultima inserzione problematizza il sistema tautologico dell’opera e mette in discussione il concetto di identità indiscussa e di riconoscibilità immediata. Louise Lawler, Tacita Dean e Stefano Arienti lavorano sul concetto di montaggio come metologia pratica, fondamento di ogni operazione artistica. Dieter Roth, Fischli & Weiss e Armin Linke indagano la capacità di simulazione da parte delle immagini, varcando ancora una volta la soglia di una conoscenza orizzontale, indissolubilmente legata alla nostra percezione e liberata dai meccanismi di potere.
di ivan fassio
La Collezione come Forma d’Arte
Autore: Elio Grazioli
Editore: Johan & Levi, Monza MI
Anno di pubblicazione: 2012
ISBN: 978-88-6010-072-6
Pagine: 128, 18,00 €