Inventare un luogo in cui guarire, in cui creare per curarsi. Nella sequela dei rimandi, storia nella storia, complesso gioco di scatole, la volontà di ripercorrere le ragioni di ogni gesto sembra sopravvivere. Dai corridoi di una clinica, o forse di una casa, pare di udire le voci confuse, amplificate eppure incomprensibili, a testimonianza di una sofferenza. Il dolore individuale, potente e appena sfiorato dagli eventi, si dibatte, estraneo, ai margini dei tempi moderni.
La poesia è violenta e vuole rappresentare un rancore. Questa crudeltà, tuttavia, è mediata dall’illogica e perturbante incursione degli oggetti: sedie a rotelle, occhi di bambola, unghie e denti, camere d’aria. In questo modo, l’arte è messa in salvo dalla piena dei tormenti personali e resiste rafforzata.
Leggendo la biografia corale di Carol Rama, appena pubblicata dall’editore Prinp, le impressioni rimandano a un vocìo incontrollato, appassionato, rendendoci partecipi al disagio della protagonista. La difficoltà di reperire notizie certe su un’artista che ha sempre lavorato di fantasia sugli avvenimenti della propria esistenza è palpabile. Il risultato è, nonostante tutto, affascinante, perché, attraverso una sintesi acuta, risponde all’esigenza di tracciare con vigore i lineamenti di una vita.
L’autrice Gianna Besson riprende una video-intervista effettuata nel 1998 e la aggiorna con una biografia raccontata. Scova parole e ricordi di chi ha vissuto vicino a Carol, amici, vicini di casa, galleristi e collezionisti. L’infanzia privilegiata in una famiglia agiata è ripercorsa con malinconia. Le arie d’opera nei salotti borghesi e i primi anni di scuola sono fagocitati dall’improvvisa comparsa dei problemi economici, dalla malattia della madre, dal suicidio del padre.
Nei ricordi di Carol, è la pittrice torinese Gemma Vercelli ad insegnarle il disegno e la pittura, ad indicarle la strada da seguire, imparando a gestire i desideri. La recente pubblicazione non offre particolari spunti critici perché si concentra sulle passioni e sugli episodi che hanno informato, celati o rimossi, la produzione delle opere. L’erotismo espropriato della sensualità e l’annichilimento di una volontà figurativa possono essere ricollocati all’interno delle esperienze esistenziali: dal difficile rapporto con la famiglia alle problematiche di gestione del denaro, alle relazioni sofferte con intellettuali di cui la pittrice invidiava la preparazione e la cultura. Anziché seguire gli indizi di una scia tracciata da Egon Schiele e Francis Bacon, lo sviluppo personale di una poetica dell’objet trouvé può essere riletto alla luce della scelta dei fatti da utilizzare, compressi come simboli e rimaneggiati come ispirazioni, all’interno del lavoro d’artista. Tra le pagine del testo intravediamo una sorta di brama di immaginazione: condanna a rivivere episodi attraverso il filtro dell’invenzione. Utilizzare esperienze raccontate da altre persone e scegliere per sé avvenimenti accaduti a conoscenti sono elementi di contrappunto ad una pratica estetica giocata sulla dialettica complessa di decisione arbitraria e casualità.
In questo modo, potremmo rileggere in altra ottica le parole di Carol sui suoi incontri con personaggi del mondo dell’arte e della cultura. I ritrovi serali nella casa torinese con il gruppo Einaudi, insieme a Italo Calvino e Cesare Pavese, vengono rivissuti come interventi da un mondo colto e lontano, che riesce improvvisamente a scoprire la realtà di una pittrice impreparata e ingenua. Rafforzamento di una sensibilità innocente e presa di coscienza di capacità espressive emergono da questi ricordi.
L’incontro con Pablo Picasso è l’occasione per un regalo del maestro. Carol sceglie un gancio. Sarà l’oggetto che servirà per appendere i tubolari in una delle opere installative della fine degli anni Settanta. Ancora un’occasione per applicare un personale meccanismo di intervento estemporaneo alla propria produzione artistica.
Nel legame con Edoardo Sanguineti ritrova una comunanza di strutture: il recupero degli scarti, una scrittura materiale e residuale. Di Man Ray rivediamo una foto, scattatale per immortalare il suo temperamento indipendente. Due polaroid rimangono di una visita di Andy Warhol. Il rapporto con la Pop Art incoraggerà l’artista a scandagliare le personalità e i mondi precostruiti per ritrovare una purezza originaria.
Una conversazione con Paulette Godard è invece il pretesto per riflettere sulla concezione di paura come affetto legato strettamente all’idea di futuro. Immagine ricorrente nelle opere di Carol Rama, l’angoscia per il destino dell’uomo potrebbe ricordare una colomba: capace di involarsi da ogni più casto pensiero dell’artista per accedere a forme universalmente conosciute.
di Ivan Fassio
Carol Rama, Casta Sfrontata Stella
Autore: Gianna Besson
Editore: Prinp Editoria d’Arte
Formato: 15×22 cm
Pubblicazione: 2012
ISBN: 9788897677062
Pagine: 72
Prezzo: 25€
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 80. Te lo sei perso? Abbonati!
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