Ancora
prima di essere l’artista che
massimamente rappresenta l’arte performativa, che in oltre quarant’anni di
carriera ha saputo reinventare nel tempo il linguaggio della performance
spostandone ogni volta più in là le potenzialità espressive e concettuali,
ancora prima di tutto ciò – ed è già tantissimo – Marina Abramović è una donna
che ha fatto della sua stessa esistenza un’opera d’arte, immolandosi in imprese
epiche, rischiose, sempre al limite del fattibile e del possibile. Sullo
sfondo dello scenario geopolitico dell’ex-Yugoslavia e dell’Europa
post-bellica, tra memorie familiari e ricordi d’infanzia, incontri e amori,
progetti e sfide sempre nuove, Marina Abramović si offre ancora una volta
generosamente, senza remore o indugi, allo spettatore/lettore con la sua
biografia Quando Marina Abramović morirà,
raccontandoci gli anni della formazione e le prime esperienze artistiche a
Belgrado, il suo rapporto simbiotico con Ulay, la separazione e la rinascita
quale artista sola sino al periodo della grande consacrazione pubblica. Scritta
dal critico d’arte americano James Wescott e pubblicato in Italia per i tipi di
Johan & Levi, anche in questa appassionante biografia Marina Abramović si
denuda metaforicamente svelando aspetti e aneddoti impensabili del suo vissuto
di donna e di artista, che
confessano tanto una sovrannaturale forza di
carattere quanto una pericolosa tensione verso la morte sublimati, come solo
lei ha saputo fare, nelle regole costitutive di ogni sua performance. Il
libro si apre con la storia del fatale incontro tra il critico d’arte (poi suo
biografo) e durante la sua celebre performance The House with the Ocean View alla Sean Kelly Gallery di New York
nell’autunno del 2002. In quell’azione di forzata reclusione e digiuno durata
12 giorni dentro la galleria, Abramović si nutrì unicamente dello sguardo degli
astanti esponendosi a sua volta al loro voyeurismo cannibale. Un’opera estrema
che richiama alla memoria un suo altro famoso lavoro, Rhythm 0, presentato alla galleria Morra Arte Studio di Napoli nel
1975, in cui per 6 ore l’artista rimase immobile senza fare nulla invitando
invece il pubblico a fare di lei quello che voleva. Leggendo
i primi capitoli dedicati alla sua storia familiare e alla sua infanzia/adolescenza,
si scoprono le origini di una ricerca tesa a investigare la ragione stessa di
esistere come corpo, donna, artista: la figura “militare” e anaffettiva della
madre, che d’altro canto l’ha avvicinata sin da piccola all’arte, i suoi
problemi di emofilia e il ricovero ospedaliero da bambina, le forti emicranie
giovanili che la costringevano a letto per giorni e a cui cercava di resistere
con stoiche strategie di sopportazione del dolore, comportamenti e attitudini
riversate poi sapientemente nella sua arte. E si capisce, dopo aver divorato le
oltre trecento pagine, che per lei la performance è stata sempre una forma di
ribellione per sfuggire alla banalità del male e per ritrovare nello sguardo
dello spettatore, nella relazione silenziosa con il suo pubblico, quella
ragione di esistere tanto anelata.
marinella paderni
James Westcott
Quando Marina Abramović morirà
Collana Biografie
Johan & Levi, 2011
Pagine: 352
Euro 32,00
ISBN: 978-88-6010-030-6
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