Categorie: Libri ed editoria

libri_anteprime | Enciclopedia della parola | (skira 2008)

di - 13 Luglio 2008
Tu, cavaliere, funambolo… funambolo, come tu ti definisci, nietszchiano, che cosa vuol dire muoversi con i piedi su un filo della dimensione di qualche millimetro, che corre da una parte all’altra, ovvero dal passato al futuro. Quale futuro, e quale approdo sono previsti, qual è il colore di questo filo e quale il vestito che indossi da abile trasformista nel mondo dell’arte?
Io credo che il critico d’arte, nel mio caso, avendo teorizzato la critica creativa, è colui il quale riesce non solo a camminare sul filo ed è sempre un filo di rasoio, è proprio un camminare delicatamente su una corda tesa da cui si può cadere, ma anche a camminare, nello stesso tempo, con i piedi sulla corda e con la testa puntata verso il futuro, anche se si tratta di un futuro rivolto strabicamente verso il passato. Inoltre, il critico parte sempre dall’occasione dell’arte, ma ha un rapporto edipico con l’arte. In fondo, il critico ha bisogno dell’arte, il critico ha bisogno dell’occasione dell’arte, anche se non ama l’arte. Io dico sempre che non amo l’arte, come l’operaio non ama la macchina su cui lavora. Adopero criticamente l’occasione dell’opera d’arte per produrre un discorso teorico. Più che un critico d’arte, mi piacerebbe denominarmi un cercatore d’arte. Perché è vero che chi cerca trova. Mentre non sono uno storico, perché, a mio avviso e paradossalmente, lo storico è quel parassita di cui parla Diderot nel Nipote di Rameau, il quale vive garantito da quel principio d’autorità che il tempo stabilisce intorno all’opera.
Lo storico, anche grande, è colui il quale, in effetti, non utilizza l’avventura intellettuale per esporsi in prima persona, ma vive una scissione: applica la capacità mentale, l’apparato tecnico-culturale di cui dispone tuffandosi nell’opera fino alla vita, ma dalla testa in giù. È qualcuno, insomma, che non sa andare nell’acqua completamente. Resta con la seconda parte del corpo, con l’apparato genitale e con i piedi fuori dell’opera.

Potremmo anche dire, apparato genitale a parte, che sott’acqua lo storico non respira più.
Lo storico non sa stare in apnea. Lo storico ha continuamente bisogno di verifiche, lo storico ha un bisogno esasperato della filologia, dell’appiglio, dei riconoscimenti che in qualche modo la storia gli garantisce. Il critico d’arte, invece, a mio avviso, è colui il quale si propone in un’avventura in prima persona e può partire anche da un rapporto sinceramente ambivalente con l’opera d’arte, senza quella dichiarazione di feticistico amore che tutti i critici propongono intorno all’arte. Io ritengo che, per una mentalità culturale ritardataria legata a una filosofia di stampo idealistico che ha covato il Italia intorno all’arte per merito e demerito di Benedetto Croce, è esistito un rapporto gerarchico tra critico e artista, che corrisponde al primato dell’intuizione sul momento dell’investigazione, al primato dell’artista sulla figura del critico considerato servo di scena dell’arte, colui il quale sta dietro le quinte, permettendo la centralità protagonista dell’artista.
Invece noi oggi viviamo in un sistema dell’arte in cui l’identità artistica la produce l’artista. Ma quella che chiamiamo l’identità culturale, è il frutto di un sistema di collaborazione tra vari elementi, che sono appunto l’artista, il critico, il mercante, il gallerista, il collezionista, il direttore di museo e infine il pubblico. È una catena di sant’Antonio, che produce un surplus, quella valenza o identità oggettiva, culturale che permette all’opera di circolare, in un sistema dell’arte divenuto ormai internazionale. Perché, mentre prima l’opera d’arte viveva nel tempo, garantita dalla sua durata inossidabile, la cosiddetta eternità, oggi l’opera vive nello spazio, garantita dalla internazionalità, dalla circolazione contestuale che l’opera riesce ad avere durante la vita stessa dell’artista.
Detto questo, io voglio affermare l’autonomia della critica rispetto all’arte, così come affermo l’autonomia dell’arte rispetto alla critica, anche se è prevista la necessità di una compenetrazione e di una collaborazione, seppur dialettica, antagonista e in qualche modo anche problematica, dell’arte con la critica.

Nel passato, l’identità culturale di un’opera d’arte sorgeva, per così dire, in modo spontaneo intorno all’opera, mentre oggi, con il potenziarsi dei media di diffusione che convogliano mode e stili, questa identità culturale viene indotta all’opera, portando alla negazione, nella stessa critica, del riconoscimento dell’identità dell’opera d’arte nel processo storicistico della sua identificazione nel tempo, sostituendo alla logica storicistica una logica dell’induzione dai mezzi di osservazione.
Io ti capovolgo il discorso e ti dico che questo tipo di lettura che tu fai è la conseguenza, a sua volta, di una mentalità idealistica e storicistica, perché ancora una volta privilegia l’opera d’arte rispetto all’opera prodotta dagli altri soggetti al sistema dell’arte. Per cui potrei dire che, secondo la tua lettura, sull’operazione della critica c’è un’induzione, prodotta dalla presenza dell’opera. Quindi è chiaro che tu, nel momento in cui privilegi l’opera d’arte, ritieni che questa crescita d’identità e d’importanza degli altri sistemi nel sistema dell’arte, è una crescita che contamina la purezza dell’arte. Io ritengo invece che noi viviamo in una società di massa altamente sviluppata sul piano tecnologico, dell’automazione e della divisione del lavoro e in questo senso la complementarietà dei ruoli è un fattore che produce una nuova identità dell’arte e degli artisti, per cui l’arte stessa va giudicata con i parametri di un’attualità in cui il soggetto produttore di arte non è colui il quale demiurgicamente parte da un’oscura intuizione e porta alla luce, formalizzandola, un’immagine precedentemente inesistente, ma è colui il quale lavora dentro un deposito di immagini che appartengono alla storia dell’arte, così come il critico lavora in un deposito di immagini che appartengono alla produzione artistica.
Ma l’arte del manierismo, cioè dal Cinquecento in avanti, è un’operazione alla seconda. È un’operazione che parte dalla coscienza di ciò che è stato prodotto precedentemente, anche se l’arte è sempre l’effetto di uno strappo, di una lacerazione e di una catastrofe, che l’artista produce sull’equilibrio tettonico del linguaggio artistico… Ma l’artista è oggi colui il quale è consapevole di intervenire per primo. Tutto questo significa che l’artista, che già prima non era mai solo, ora vive nel suo atelier la compresenza di una compagnia ideale…

Una compagnia che è fatta soprattutto della pluralità degli stili e dei linguaggi, poiché dal manierismo in poi emerge la realtà incontestabile dell’arte come tecnica di linguaggio.
Sì, l’artista si trova in compagnia di altri linguaggi, prodotti da altri soggetti. Ma il problema è diverso. Oggi, l’artista è soprattutto colui che compie una ricognizione statistica dell’esistente.

L’artista ha sempre operato in questo senso.
Certo. Però, prima, l’artista anticipava anche la realtà, oltre a documentare quella in cui viveva.

Adesso, invece, non anticipa più nulla?

No, ed è questa la nuova realtà.

Allora, quel filo d’acrobata di cui parlavamo all’inizio, e che ormai può riferirsi all’artista come al critico, trasborda da una parte all’altra, ma non porta mai al di là?

Sì. Diciamo che non c’è nessun futuro garantito. Secondo me, mentre l’arte fino agli anni ‘70 era un’arte che in qualche modo intendeva progettare un futuro puntando sulla ricchezza del presente, oggi l’artista, nel proprio presente, non riesce a trovare i puntelli necessari per proiettarsi in avanti. Oggi la cultura delle previsioni è finita. Dalla fine degli anni ‘60 abbiamo una presa di coscienza da parte degli intellettuali e degli artisti che quella cultura della elaborazione del modello, quella cultura delle previsioni e del valore progettuale, che era la sostanza dell’esperienza creativa dell’arte come ricerca, si scontra con una realtà che non si lascia più progettare.

Oggi la progettazione pare essere divenuta dominio esclusivo della scienza, sempre più disposta a un’apertura verso la contraddizione e l’imprevisto…
Sì. In questo senso, mentre dopo il 1970 la scienza, con l’ingegneria nucleare e genetica, comincia a immaginare possibilità che prima appartenevano all’arte, cioè mentre la scienza si muove verso il futuro, negli stessi anni, con il neomanierismo della transavanguardia che io ho teorizzato e con il recupero del passato, l’artista non può più pensare a un futuro radioso, ma solo riprendere dal passato quei modelli e quei linguaggi che egli sì, utilizza, ma al presente e con cui si identifica pateticamente, assumendoli invece con quel distacco mentale che già era stato impostato dal procedimento dell’oggetto ready made di Duchamp.
Perciò dopo gli anni ‘70, c’è un’utilizzazione estraniante dei linguaggi e dei modelli e c’è un uso di superficie che gli artisti fanno del linguaggio del passato, per articolare un’ipotesi o una formalizzazione che ha l’umiltà di rimanere conficcata nel presente, più che proiettarsi verso il futuro. Anche se tutto questo ha comportato, paradossalmente, una ripresa oggi della pittura, della manualità e dell’erotismo del colore che erano rimasti castigati negli anni sessanta a favore di ipotesi quaresimali, in base alle quali si pensava di progettare modelli di comportamento collettivo, che la società di massa ha invece poi rifiutato.

Era il tempo in cui Pasolini sottolineava la non prevista abdicazione del proletariato dai modelli di democratizzazione progressista in favore di un ripiegamento verso i modelli borghesi involutivi.
Sì, e d’altra parte, diciamo la verità, l’arte in una società di massa, come ha detto qualcuno, è forse l’unico correttivo alla democrazia demagogica: è un recupero del rispetto della individualità ed è anche una celebrazione del soggetto, che da solo si risarcisce di anni di dieta che ha dovuto sopportare per le ipotesi assembleari del ’68, per quella sorta di primato del noi rispetto all’io che i movimenti giovanili avevano, spesso stalinisticamente, imposto passando dalla lotta incruenta dell’assemblea universitaria alla lotta armata, che poi ha funestato gli anni ‘70.

Assistiamo oggi, allora, a una rivincita dell’arte per l’arte?
No, non è la rivincita dell’arte per l’arte, ma è la rivincita dell’arte con l’arte. È la rivincita di un’ipotesi dell’autonomia dell’arte, che si riafferma oggi, proprio nel momento in cui l’arte compie una sorta di auto-riflessione e di verifica di ciò che aveva prodotto la propria superbia logocentrica, di casa in tutte le ipotesi neoavanguardistiche o comunque legate alle avanguardie del nostro secolo. Oggi, l’autonomia dell’arte si riafferma proprio nel momento in cui si capisce che l’arte è un’attività creativa gratificante per il soggetto che la produce quanto per il soggetto che la consuma, e che l’arte in fondo è l’unico spazio da cui si può ricavare un’ipotesi di misura per la propria esistenza.

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achille bonito oliva

la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 50. Te l’eri perso? Abbonati!


Achille Bonito Oliva – Enciclopedia della parola. Dialoghi d’artista. 1968-2008
Skira, Milano 2008
Pagg. 568, ill. col., € 34
ISBN 978 8876249013
Info: la scheda dell’editore

[exibart]

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  • (...) ENCICLOPEDIA DELLA PAROLA - (skira 2008)
    Una postfazione in forma di dialogo. O meglio, un soliloquio a due voci. È quello fra Me e Sé, che ABO intesse per chiudere il suo ultimo libro... Uscito alle soglie dell’estate per Skira(...) -

    Da vittorio del piano/Atelier MediterraneArtePura - ALLA C.A. DEI LETTORI DI "Exibart.com

    A proposito di ABO "il critico salernitano" citiamo l'ultima parte dell'ampio stralcio per capirci:...

    ..."Assistiamo oggi, allora, a una rivincita dell’arte per l’arte?"(Si autodomanda il Nostro!)...

    "No, non è la rivincita dell’arte per l’arte, ma è la rivincita dell’arte con l’arte."(Si autori sponde il Nostro!)...

    È la rivincita di un’ipotesi dell’autonomia dell’arte, che si riafferma oggi, proprio nel momento in cui l’arte compie una sorta di auto-riflessione e di verifica di ciò che aveva prodotto la propria superbia logocentrica, di casa in tutte le ipotesi neoavanguardistiche o comunque legate alle avanguardie del nostro secolo""...

    NON E' AFFATTO COSI'...CARO "ABO"! NON PUO' ESSERLO E NON LO SPIEGA NEL SUO SOLILOQUIO, MA PERCHE' PRENDE ALTRE STRADE INVECE?

    "Oggi, l’autonomia dell’arte si riafferma proprio nel momento in cui si capisce che l’arte è un’attività creativa gratificante per il soggetto che la produce quanto per il soggetto che la consuma, "

    NON E' AFFATTO COSI'...CARO "ABO"! NON PUO' ESSERLO. NON HA LETTO (?) LA CONFERENZA DI MARCEL DUCHAMP? (Filadelfia 1951)...

    "...e che l’arte in fondo è l’unico spazio da cui si può ricavare un’ipotesi di misura per la propria esistenza"...

    NON E' AFFATTO COSI'...CARO "ABO"! NON PUO' ESSERLO PERCHE' NON SI PUO' RICAVARE UNI'IPOTESI... MA "CAPIRE" CHE LA COSA PIU' BELLA AL MONDO E' "CAPIRE L'ARTE"...L'ARTE E' COMUNICAZIONE LA CUI ESPRESSIVITA' POETICA, ESTETICA, E' SOLO DELL'ARTISTA E NON DFI UN CERTO CRITICO...

    ..."e che ormai può riferirsi all’artista come al critico, trasborda da una parte all’altra, ma non porta mai al di là?" …

    NON E' AFFATTO COSI'...CARO "ABO"! NON PUO' ESSERLO E NON LO SPIEGA (PUR SAPENDOLO) NEL SUO SOLILOQUIO, PERCHE' UN CRITICO D'ARTE E' UN “ARTISTA FALLITO”....MENTRE - UN ARTISTA CRITICO D’ARTE E’ UN CRITICO PURO NATO -
    L'ARTISTA PURO, INVECE E' UN IDEATORE, INVENTORE, RICERCATORE PURO E' INGEGNERE DEL TEMPO LIBERO, NON FA DELL'ALTRO NELL’ARTE (COME FA IL CRITICO...), MA VA OLTRE IL GIA' DATO SIA DALL'ARTE E ANCHE DALLA SCIENZA...

    (ecco il soliloquio del Nostro, nella parte che segue, ci fa dire mamma mia! - e si "capisce” il perchè leggendo anche il libro ENCICLOPEDIA DELLA PARPLA..., si scopre dell'altro):

    "Sì. Diciamo che non c’è nessun futuro garantito. Secondo me, mentre l’arte fino agli anni ‘70 era un’arte che in qualche modo intendeva progettare un futuro puntando sulla ricchezza del presente, oggi l’artista, nel proprio presente, non riesce a trovare i puntelli necessari per proiettarsi in avanti. Oggi la cultura delle previsioni è finita. Dalla fine degli anni ‘60 abbiamo una presa di coscienza da parte degli intellettuali e degli artisti che quella cultura della elaborazione del modello, quella cultura delle previsioni e del valore progettuale, che era la sostanza dell’esperienza creativa dell’arte come ricerca, si scontra con una realtà che non si lascia più progettare".

    NON E' AFFATTO COSI'...CARO "ABO"! NON PUO' ESSERLO E NON LO SPIEGA NEL SUO SOLILOQUIO, MA PERCHE' PRENDE ALTRE STRADE INVECE? NON PARLA MAI DI: PIERRE RESTANY, GILLO DORFLES, GIULIO CARLO ARGAN, J.FRANCOIS LYOTARD, FILIBERTO MENNA, FRANCO SOSSI, EUGENIO MICCNI, VITTORIO FAGONE, UMBERO ECO, LEA VERGINE, OMAR CALABRESE, ROLAND BARTHES?

    LA REALTA' NON SI E' MAI POTUTA PROGETTARE, CHI L'HA FATTO, HA MISTIFICATO. LA REALTA' NON E' UNA BRACIOLATA..., MA VA SAPUTA INTERPRETARE E COMUNICARE CON TUTTI I LINGUAGGI CHE L'ARTISTA E' CAPACE DI INVENTARE PER L'ESPRESSSIONE ANCHE DELL'INVISIBILE POETICO,
    ESTETICO PURO, COSMICO, "REALE" E A MISURA DELL’INTELLIGENZA E DELLA SENSIBILITA' UMANA, PER LGLI UOMINI D’OGGI E NON PER I CRITICI DI DOMANI. PER COGLIERE LA REALTA' CI VUOLE OCCHIO, CUORE E TECNICA. DI QUESTE QUALITA’ IL NOSTRO “ABO” SA DI POSSEDERNE SOLO DUE. CON LA SIMPATIA DI SEMPRE: W L’ITALIA, W L’ARTE (W SALERNO).(...)
    Vittorio Del Piano (via Lago di Como. 3-a. 74100-TARANTO (ITALIA).
    delpiano.artepura@libero.it -htp:ateliermerditerraneartepura.it -
    Atelier MideuterraneArtePura - Taranto/Nizza(cell. 3283187713).

    Cosiglio di cercare il libro - prima che finisca L'ESTATE - "Enciclopedia della parola" -(skira 2008).

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