Realizzare un catalogo ragionato è un’impresa titanica.
Perché per essere un valido strumento, anzi
lo strumento per la produzione
dell’artista considerato, dev’essere inattaccabile da ogni punto di vista.
Paradossalmente, l’unico aspetto su cui in parte si può soprassedere è la
qualità della stampa. Poiché il fine primario d’un siffatto progetto è
descrivere in maniera esaustiva ogni opera, fornendone tutti i dati sensibili:
non soltanto anno di realizzazione, tecnica e dimensioni, ma pure passaggi di
proprietà, attuale collocazione, elenco delle mostre alle quali ha partecipato,
bibliografia.
Per definizione, è un lavoro destinato all’insuccesso. Non
soltanto perché è sempre possibile che qualcosa sia sfuggito, ma perché quand’anche
tutte le informazioni e il
corpus siano stati adeguatamente reperiti e riportati, vi sono
variabili che renderanno inevitabilmente obsoleto il catalogo. Perché, per fare
un esempio, un’opera può passare di mano; oppure andare distrutta.
Per ciò, fino a qualche anno fa, si tendeva a limitare i
danni, realizzando cataloghi
generali soltanto di artisti passati a miglior vita. Tendenza che
ultimamente s’è invertita. E così aumenta il numero dei cataloghi
generali che concernono artisti tuttora
non solo vivi e vegeti, ma ancora in attività. Ragion per cui sarà ovviamente
necessario rimetter mano allo strumento. Per aggiornarlo, magari con uno o più
volumi aggiuntivi.
Ma il problema, con questo
Catalogo ragionato dedicato a
Giulio Paolini da Maddalena Disch e recentemente
licenziato da Skira – con la partecipazione della Fondazione Giulio e Anna
Paolini -, è ben più complesso. Poiché il torinese d’adozione, com’è noto, ha
fatto del
remix una pratica diffusa nell’approccio alla propria produzione.
Insomma, di lavoro
per i prossimi anni ne resta ancora molto, anche tenendo conto del fatto che
questi due imponenti tomi racchiusi in un raffinato cofanetto non comprendono “
i
progetti editoriali e le edizioni grafiche”, scrive Disch, nonché “
le opere su carta
(studi preliminari, disegni, bozzetti, collage di piccolo e medio formato) e i
lavori realizzati nell’ambito di collaborazioni teatrali”. D’altro canto, come sostiene lo
stesso Paolini nel suo intervento d’apertura, intitolato
Immagini riflesse, “
l’opera omnia
non è insomma
l’assieme, dall’inizio alla fine, di un’esperienza conclusa, di quel certo
numero di opere attribuite a quel certo autore”.
Fatte queste premesse, è indubbio il piacere, oltre
all’utilità, di poter scandagliare così a fondo un numero impressionante di
lavori paoliniani, a partire dal
Disegno geometrico del 1960, una tempera e
inchiostro su carta di appena 60×40 centimetri. La scelta di quel disegno in
qualità di
incipit,
come si apprende dalla colta scheda della curatrice e dalle parole dell’artista
(un’altra risorsa eccezionale, questa di poter affiancare considerazioni
critiche agli scritti dell’autore), è già una scelta determinante. Poiché così
si
decide che
l’opera di Paolini è l’opera di un Paolini in qualche modo già maturo, che si
occupa delle “
condizioni di inquadratura spaziale in cui il quadro potrebbe
nascere”. Di
parergon, insomma. Si tratta quindi del “
momento
topico dell’attività artistica vera e propria di Paolini, che prima di questa
data aveva sperimentato alcuni tentativi di approccio alla pittura, andati
quasi tutti dispersi”.
La forza della scelta sta tutta in quel “
vera e propria”, espressione sulla quale lo
stesso Paolini potrebbe dilungarsi coltamente.
È con un balzo di un volume e di oltre 850 pagine che si
giunge all’opera numero 837: è
Da un momento all’altro, installazione realizzata nel
1999 per la napoletana Piazza del Plebiscito. Manca dunque all’appello un
decennio, almeno finora. E ovviamente ci auguriamo che ne manchino assai più,
prima di poter integrare questo catalogo, facendolo divenire un
catalogo
generale.
Alla chiusura del secondo libro mancano però ancora oltre
250 pagine, colmate da apparati che comprendono – oltre all’elenco delle
esposizioni a cui ogni opera ha preso parte e alla relativa bibliografia –
anche una dettagliata biografia di Paolini. E, unica eccezione alla regola
cronologica, la riproduzione dello
Studio per un autoritratto del 2008.