Per tracciare la storia di Brionvega, Decio Giulio Riccardo Carugati ha scelto la forma di un lungo racconto in cui s’intrecciano voci, testimonianze (da Ennio Brion, a Giovanni Formenti, a quelle di designer, critici e giornalisti) e –soprattutto- s’incastra un ricchissimo apparato d’iconografico.
Così accanto ai prodotti cult come il televisore Doney di Zanuso – Sapper o il radiofonografo rr126 di Achille e Piergiacomo Castiglioni -veri e propri simboli dell’eccellenza del made in Italy- ci sono foto storiche dei grandi allestimenti al Palazzo della Triennale (quello di Lynn Chandwick, nel 1968 o l’atrio progettato da Nanda Vigo, nel 1973…), ma anche immagini della Biennale d’Arte di Venezia (il Padiglione Spagnolo del 2001, con una pioggia di lampadine…), o di opere di Jasper Johns, Wolf Vostell, Andy Warhol, Nam June Paik fino ai più recenti interventi di Candice Breitz o Liam Gillick.
Del resto non stupisce questa presenza, né ingombrante, né gratuita: l’idea è tessere una narrazione unica, dove la storia del design e quel che viene comunemente inteso come identità del brand si legano intrinsecamente a mezzo secolo di storia del costume e della cultura.
Nata Vega, l’azienda italiana –che all’inizio produce solo componenti, ma che presto sceglie di commercializzare prodotti finiti- diventerà Brion Vega nel 1960 (per evitare possibili contrasti con un’omonima azienda tedesca) e finalmente Brionvega tre anni dopo; Ennio Brion ne parla con una punta di nostalgia: è il tempo del boom, dell’avvento della televisione ma soprattutto uno dei momenti più felici ed originali per il design italiano. Lontani da esser star i designer si trovano… sfogliando le riviste, da Domus a Stile Industria: nomi e indirizzi sono in calce ai progetti. Iniziai a frequentarli, a stimarne l’impegno, a studiare insieme a loro le possibilità di collaborazione ricorda Brion. Il primo a disegnare per Brionvega è Rodolfo Bonetto, il prodotto è TS207, una delle prime radio a transitor portatili: la custodia in pelle appositamente forata permette l’ascolto e la regolazione delle varie stazioni. Il passaggio dalla tecnologia valvolare a quella a transistor è indicativo di un altro trapasso fondamentale: la televisione sta sostituendo la radio come fulcro del focolare domestico. Non più oggetto fisso in salotto (basta ricordare i primi esemplari negli anni ’20 o ’30, chiusi in ingombranti mobili di legno, pomposamente realizzati in stile…), la radio assume sempre più un’identità nomade.
Ed è una serie di televisori a scandire gli anni d’oro di Brionvega: dal già citato Doney (1962) a Algol (1964) –nati dalla feconda collaborazione Zanuso – Sapper- ad Aster di Mario Bellini (1968) -totem compatto, con lo schermo che all’evenienza si può inclinare- al cubo Pally di Sergio Asti (ormai siamo al 1974), all’inconfondibile Memphis azzurro marmorizzato, disegnato da Ettore Sottsass. E’ sempre una rigorosa geometria –minimale, ma spesso anche autoironica- a caratterizzare gli oggetti Brionvega: linee ortogonali, piuttosto che curve, qualche angolo stondato, incastri ineccepibili.
Poi arrivano gli schermi ultrapiatti ed il sistema home theatre: le ultime pagine lasciano spazio ai progetti di Hannes Wettstein, art director di Brionvega dall’anno scorso. Forme fluide, in cui ancora s’individua la semplicità tipica dell’azienda. Così non è un caso che accanto all’avveniristico rendering di Tubum, trovino ancora posto alcune riedizioni storiche: potere del vintage? La renaissance passa attraverso la rilettura dei classici. A dirlo è proprio Wettsetin.
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