Ben più che un esaustivo compendio,
Estetica della pittura, attraverso le voci degli artisti, della filosofia e della storia dell’arte, ma anche attingendo al mito e al repertorio dell’aneddotica da Plinio a
Vasari, presenta le questioni che hanno ricorsivamente sollecitato la riflessione di fronte all’
enigma dell’immagine e dei suoi rapporti con la realtà. Storia di copie, di ombre inafferrabili e realtà inattingibili, la storia dell’immagine pittorica si innesta sulla divaricazione tra i concetti di
eidos e
eidolon, idea e immagine, la cui provenienza da una comune radice etimologica (
idein, vedere), alternativamente esaltata e occultata, ci dà la misura dell’ambiguo intreccio che soggiace alla centralità che la nostra tradizione di pensiero ha assegnato all’occhio, allo sguardo, alla visione.
L’andamento del saggio è tutt’altro che lineare. Diviso in tre sezioni, trascina il lettore avanti e indietro dalla contemporaneità all’antichità e viceversa, dalla pregnanza del mito alla citazione filologica, articolando per coppie oppositive le declinazioni che i pochi
concetti fondamentali di un’estetica della pittura hanno conosciuto nel loro ciclico affacciarsi all’attenzione del pensiero, registrandone l’incidenza nelle diverse epoche.
Se pensiamo a una nozione paradigmatica come quella di
mimesis, alle alterne vicende della sua interpretazione, ben presto ci rendiamo conto che una ricostruzione storica dei concetti fondamentali è anche e soprattutto un’analisi delle questioni eminentemente filosofiche che tali concetti dischiudono, proprio in virtù della loro messa in opera pittorica: la relazione tra immagine e pensiero, la dimensione rappresentativa del rapporto tra soggetto e mondo, la presa in carico del reciproco sconfinamento di sensibile e intelligibile nel processo conoscitivo.
Il filo rosso di questo densissimo saggio sembra allora essere proprio l’interazione tra arte e filosofia. Tenuto a battesimo dalla complessa e tutt’altro che univoca posizione platonica, è segnato dall’alternarsi di dissidi e riconciliazioni, negoziazioni il cui esito propende, almeno fino alla nascita della disciplina estetica nel Settecento, per una subordinazione della produzione figurativa alla ricomprensione trasparente che di essa solo la filosofia può garantire.
Le continue incursioni che il testo di Pinotti fa nelle teorizzazioni degli artisti contemporanei e nelle riflessioni che alcuni filosofi del Novecento hanno elaborato in stretto, simbiotico dialogo con l’opera dei pittori (Heidegger-
Van Gogh, Foucault-
Magritte e Deleuze-
Bacon, solo per citarne alcuni) mostrano invece come un’estetica della pittura possa e debba oggi ripensarsi come pensiero della e con la pittura. Come occasione per il pensiero di esperire il luogo
sensibile dell’elaborazione del senso, di riconoscere nella pittura non la messa in immagine dei suoi contenuti teorici ma la fonte inesauribile di interrogativi sul proprio statuto e sulle proprie condizioni di possibilità.
Ma non solo il pensiero mette in questione i propri fondamenti. Nelle battute conclusive del testo è anche e di nuovo la pittura che interroga il pensiero sui propri
confini. E lo fa a partire da quelle zone a margine nelle quali l’immagine contratta e-sperimenta i propri limiti, cronologici, ontologici e teologici. Sempre “
a partire dal suo altro”.