03 marzo 2008

libri_estetica Il ratto del ritratto

 
Se i dipartimenti universitari italiani iniziano a destarsi e a guardare il mondo, le riflessioni più coraggiose restano confinate negli editori più piccoli. Una rapida incursione per vederci meglio. A partire dal ritratto come tratto ripetuto, che però si tira indietro. Il genere fondativo dell’arte occidentale sta scomparendo? Insieme all’estetica, lentamente, si ritrae...

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È lo sguardo l’argomento di L’enigma e lo specchio. La problematica è affrontata con gli strumenti del filosofo, facendo leva sull’esemplarità del ritratto nella pittura contemporanea. Tuttavia, non si tratta soltanto di un libro di estetica, ma -è ciò che contraddistingue la quasi totalità dei volumi qui considerati- altresì di una riflessione etica: “Il problema estetico della rappresentazione di un volto, di un ritratto, è già da sempre anche il problema etico del riconoscimento di me e dell’altro da me”. E, innanzitutto, del riconoscimento dell’io da parte di se stesso, il che fa due ab originis; anzi tre, se si conta la relazione. Che queste analisi siano condotte utilizzando come supporto un dipinto di Jackson Pollock -ma pure lavori di Lucian Freud, Fautrier, Bacon, Congdon, Rothko e Giacometti– è segno che, lentamente, nelle università italiane qualcosa si muove. L’esempio della pittura di Pollock serve a Gherardi per sottolineare come sia tipica della contemporaneità la “purificazione dal denotato”. Pur non abbandonando -come potrebbe?- la rappresentatività, l’arte occidentale si è da tempo svincolata dall’intento mimetico: “La figurazione di un volto nelle sue proporzioni ideali o idealizzate […] è immagine-cadavere”. Marcello Ghilardi - L'enigma e lo specchio. Il problema del volto nell'esperienza artistica contemporaneaProprio questa dissoluzione, quest’assenza fa emergere con maggior forza il plesso di relazioni perturbanti e conflittuali che coinvolge in un’infinita e chiasmatica processualità l’immagine e gli sguardi: quello dell’osservatore, ma pure quello dell’osservato.
A un caso particolare e per certi versi ulteriore di questo crocevia visivo è dedicato il libro di Izzo, sottotitolato Riflessioni sui ritratti fotografici agli artisti. Se di tecnica si può e si deve parlare anche nel caso del disegno e della pittura, con la fotografia subentrano però altri inediti fattori, in primis l’automatismo della macchina. D’altro canto, nel ritratto dell’artista -si noti il doppio genitivo- la conflittualità di cui si diceva è acuita da tensioni di vario ordine. Il risultato è che, nel fuoco incrociato di sguardi, si trovano ripetuti all’infinito alcuni topoi: “I fotografi professionisti quando riprendono gli artisti […] il loro lavoro più che uno sguardo sulla realtà sarebbe un viaggio fra stereotipi”. Un viaggio che, per molti aspetti, ripercorre le strade dell’iconografia popolare. Sulla scorta dell’indagine di Ernest Kris e Otto Kurz, autori nel 1934 della Leggenda dell’artista, Izzo segnala dunque e riproduce una messe di esempi: gli scatti di Edward Steichen a Rodin, di Benjamin Katz a Georg Baselitz, di Anton Giulio Bragaglia a Giacomo Balla, di Myron Wood a Georgia O’Keeffe. In fondo, come scriveva Gombrich, “la percezione ha sempre bisogno di universali”.
Sullo statuto dell’immagine anche s’interroga Daniele Perra, concentrandosi sull’Impatto (del) digitale. La tesi che incardina il volume è espressa sin dalla prima pagina: Vincenzo Cuomo - Al di là della casa dell'essereL’elaboratore elettronico stravolge o quantomeno interrompe l’evoluzione naturale dei meccanismi della visione e della rappresentazione”. Poiché, da un lato, il denotato si dissolve, dall’altro la percezione si sinestetizza, dando luogo a “una nuova morfologia della visione”, nella quale il computer è, paradossalmente, “agente di una visione senza sguardo”. Con la conseguenza, come ripetono ognuno a proprio modo tutti i saggi qui in esame, di “un ridimensionamento del predominio della fruizione puramente estetica”. Alla parte teorica e storica, Perra fa seguire un’appassionante carrellata di esempi di opere riconducibili, talora in senso lato, alle aree più disparate di quel che Tom De Witt ha definito dataism. A partire dalla prima animazione computerizzata a colori, realizzata nel 1978 da Thomas Banchoff e Charles Strauss, alle sperimentazioni di Yoichiro Kawaguchi, ispirate ai modelli di morfogenesi botanica.
Nella raccolta di saggi fra loro strettamente connessi proposta da Vincenzo Cuomo è ancora l’indagine dei limiti dell’estetica e del superamento della sua impostazione “classica” a costituire il fil rouge. Singole analisi, sviluppate col linguaggio chiaro ma non semplicistico di chi insegna da tempo nelle scuole superiori, approfondiscono temi specifici, andando ad arricchire il bagaglio di concetti utili per l’esplicitazione delle linee generali della proposta di Cuomo. Così, ad esempio, la riflessione sui legami tra città moderna, folla metropolitana e nascita del cinema serve per introdurre il concetto benjaminiano di “tecnica macchinica”. Per quanto c’interessa in questa sede, sono particolarmente interessanti le pagine dedicate alla “in-esperibilità della rete”. Rifacendosi a un celebre articolo di Thomas Nagel -dove si dimostrava che, pur conoscendo la neurofisiologia dei pipistrelli, è impossibile per gli esseri umani “sapere cosa si senta ad esserlo effettivamente”- Cuomo nota come, almeno fino a oggi, sia impossibile esperire la “propria” presenza nel data-space. Enrico Baj e Paul Virilio - Discorso sull'orrore dell'arteA meno di non ridurre la ricchezza e la complessità del web a mero ambiente virtuale (nel quale, fra l’altro, come ha mostrato Marco Cadioli, è ancora possibile fare un ritratto). Ed è chiaro che, a fortiori, in quel particolare spazio non si possa avere un’esperienza di tipo estetico, poiché innanzitutto, a differenza della tele-visione, lo schermo del computer “non è più il luogo dell’immagine”. Niente immagine, niente visione. La prospettiva è dunque quella di un ridefinizione delle soglie che definiscono l’umano? È la “provocazione” di artisti quali Ruth West, che in Ecce Homology mostra l’omologia genetica tra uomo e riso. Proponendo così l’esperienza impossibile e aporetica di un bello sublime e tecno-naturale.
Pur non potendo seguire sino in fondo le riflessioni di Cuomo, possiamo almeno dire che il suo non è il punto di vista di un acritico entusiasta delle nuove tecnologie. Ma nemmeno oppone la resistenza, in particolare alla “confusione tra arte e genetica”, a tratti stucchevole di Enrico Baj e Paul Virilio. Va da sé che anche il dialogo fra questi ultimi ha come tema portante “la possibilità di sparizione dell’estetica”. Diversa è però l’elaborazione del lutto. Sarà mica l’ennesimo scontro fra apocalittici e integrati?

marco enrico giacomelli


I volumi segnalati:
Enrico Baj – Paul Virilio, Discorso sull’orrore dell’arte, Elèuthera, pp. 80, € 9
Vincenzo Cuomo, Al di là della casa dell’essere. Una cartografia della vita estetica a venire, Aracne, pp. 124, € 9
Marcello Ghilardi, L’enigma e lo specchio. Il problema del volto nell’esperienza artistica contemporanea, Esedra, pp. 158, € 15,50
Vincenzo Izzo, Faccia d’artista. Riflessioni sui ritratti fotografici agli artisti, Artemisia, pp. 160, € 18,50
Daniele Perra, Impatto digitale. Dall’immagine elaborata all’immagine partecipata: il computer nell’arte contemporanea, Baskerville, pp. 140, € 17

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 47. Te l’eri perso? Abbonati!

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