Chi s’imbatte in questo saggio dal titolo stravagante e dalle pagine leggere, difficilmente potrà resistere alla curiosità di sollevarne la copertina, sulla quale giacciono laconici il titolo,
La fidanzata automatica, e il nome dell’autore, e scorrerne rapidamente il sommario alla ricerca di un indizio che faccia propendere per l’una, piuttosto che per l’altra, delle numerose ipotesi che il libro, a una prima occhiata, suggerisce relativamente al suo contenuto.
L’enigma è presto risolto: l’obiettivo di Maurizio Ferraris -filosofo formatosi nell’ambito degli studi di ermeneutica, ma da qualche anno impegnato in un ripensamento dell’ontologia che si avvale vantaggiosamente del contributo della filosofia analitica- è quello di fare una “
ontologia delle opere d’arte”, di identificare cioè “
le caratteristiche necessarie, sebbene non sufficienti” affinché un’opera d’arte sia tale. Proposito ambizioso, che irrompe nel cuore del dibattito che coinvolge da tempo l’estetica, la critica e la storia dell’arte intorno all’annoso quesito: cos’è un’opera d’arte?
Uno stile agile e scorrevole cattura il lettore in una rigorosa logica argomentativa, articolata in sei tesi e numerose sottotesi. Dopo aver messo in discussione le teorie contemporanee dell’arte alle quali più spesso accordiamo il nostro consenso, l’autore si appella al senso comune e alle esperienze più ordinarie per azzerare le nostre credenze e immergerci in un mondo di oggetti ideali, fisici e sociali
(che, assieme ai soggetti, costituiscono le categorie fondamentali dell’ontologia costruita da Ferraris) tra i quali giacciono discretamente le opere d’arte. Ma quali sono le caratteristiche specifiche di queste ultime?
I primi due capitoli dettagliano le caratteristiche
fisiche in virtù delle quali alcune cose, e non altre, possono diventare opere d’arte (l’ordinarietà, la manipolabilità, la relazionalità). Ed è infatti da un punto di vista schiettamente fisico che le teorie che si appellano rispettivamente a una presunta
straordinarietà o alla
convenzionalità dell’opera d’arte incontrano un primo, grande limite.
Ma siamo solo all’inizio del lavoro. Le opere sono anche e soprattutto oggetti sociali, sono
iscrizioni e
stratificazioni di atti, prossime al genere dei documenti. Le opere, prosegue l’autore -onde evitare che si pensi che un certificato di matrimonio possa ambire a diventare un’opera d’arte- provocano
accidentalmente conoscenza e
necessariamente dei sentimenti. Inoltre, ecco la tesi che motiva l’apparente stravaganza del titolo, “
le opere sono cose che fingono di essere persone”: viviamo della e nell’illusione che esse, in quanto suscitano in noi dei sentimenti, possano ricambiarci, ma non sono altro invece che “fidanzate automatiche”.
Si arriva così alle conclusioni, non senza una certa fatica e con la sensazione che questa ricerca abbia trascurato quel
non so che d’indefinibile eppure fondamentale che riguarda l’esperienza delle opere d’arte. Ma quel che il libro promette, Ferraris non si stanca di ripeterlo, è l’individuazione delle caratteristiche necessarie, non di quelle sufficienti. Ciò significa che l’estetica che ci propone ha prima di tutto un obiettivo critico: solo una volta liberato il terreno della riflessione da posizioni fuorvianti e sterili si potrà sollevare di nuovo e con più validi strumenti l’interrogativo, che non smettiamo di porci, sulle condizioni sufficienti.