EuropaEuropa è un libro importante. Lo è innanzitutto per la Fotografia, presentando inquadrature profondamente meditate ed immagini di una nitidezza quasi surreale (ottenute mediante l’ausilio del banco ottico). E lo è ancor di più per l’Architettura contemporanea, che nei suoi esiti più rappresentativi viene finalmente valorizzata anche per come sa modellare il paesaggio urbano, e non come sola serie di oggetti a sé stanti e di scala apparentemente irrilevante che ci viene mostrata dalla maggior parte delle monografie e delle riviste specializzate.
Per rendercene conto basterebbe un rapido sguardo all’approccio inedito di Marco Zanta ad icone quali il Guggenheim di Bilbao ed il Kursaal di San Sebastian. Questo album sarebbe piaciuto ad Aldo Rossi, che l’avrebbe trovato una conferma dell’importanza dei monumenti architettonici nel loro valore formale e simbolico, ed avrebbe apprezzato pure l’idea di intitolare le fotografie con le denominazioni delle città e le date in cui sono state scattate, anziché con i nomi delle architetture europee che ritraggono o quelli dei loro venerati progettisti (Calatrava, Gerhy, Hadid, Libeskind, Moneo, Venezia, …).
Dunque, l’architettura d’autore è finalmente re-inserita nel contesto della città anche nella sua “rappresentazione” fotografica: davanti a queste nuove eminenze urbane, in primo piano, stanno spesso pali dell’illuminazione, segnali stradali, automobili colorate, palazzi fatiscenti. Sono oggetti che contrastano con qualsiasi concezione urbanistica ideale, ma Zanta riesce a convincere chi guarda le sue foto che le grandi architetture possono perfino neutralizzarne le connotazioni negative, agendo da giganteschi enzimi urbani. E d’altronde, anche la ricerca di relazioni con e tra oggetti apparentemente banali sa destare il più inaspettato stupore.
In altri casi, come per l’intervento di Calatrava a Valencia o nella contemplazione di alcuni dettagli (fessure illuminate o superfici murarie che diventano sculture minimaliste), la composizione tende ad entrare ancor più in intimità con l’essenza profonda degli edifici, e li investe di una connotazione metafisica. Le architetture sono opere d’arte in grado di rivelarsi a poco a poco, e la fotografia è uno strumento di comprensione della realtà fisica ma anche di ciò che sta oltre (ossia in profondità) rispetto ad essa. Non è un caso che venga riservato un trattamento speciale, un bianco e nero incorniciato ed etereo, agli unici due manufatti che hanno la funzione esplicita di farci meditare sui misteri della vita: il Museo dell’Olocausto di Libeskind e la chiesa romana di Meier.
Sommer diceva che “la vita non è la realtà; siamo noi che infondiamo vita nelle pietre e nei ciottoli”, e questo concetto è incarnato sia dalle fotografie di Zanta che dagli edifici che esse si propongono di ri-velarci: ogni scatto è frutto non soltanto delle circostanze ambientali, ma anche e soprattutto di un pensiero preciso, teso a ricercare un ordine ed una struttura nel mondo caotico in cui viviamo.
francesco bergamo
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