Categorie: Libri ed editoria

libri_fotografia | L’istante e la sua ombra | (bruno mondadori 2010)

di - 14 Giugno 2010
La fotografia reca con sé ancora irrisolto, e irrisolvibile
forse, un numero non enorme di questioni, un numero inversamente proporzionale
alla loro complessità. E col tempo le cose non si sono semplificate. Ad
esempio: il problema della proto-fotografia era fissare l’immagine; quello del proto-cinema fluidificarla. E col digitale? Beh, i succitati problemi fondativi
e fondanti si trovano in un’
impasse
se si pensa che il refresh d’un monitor è invariante rispetto al fatto che “su”
di esso sia visibile un’immagine statica o in movimento. Lo schermo tremola
sempre alla medesima frequenza, troppo mosso per la fotografia, troppo statico
per il cinema.

In filosofia – ma è un metodo che andrebbe adottato in
generale – si consiglia, nel caso in cui ci si trovi di fronte a un problema di
cui non s’intravede la soluzione, di fare un passo (mentale) indietro. Così ha
fatto Jean-Christophe Bailly, l’autore di questo libro difficile e
affascinante: ha preso a guardare con una certa insistenza due fotografie. La
prima è The Haystack (covone che richiamerà,
va da sé, gli omologhi di Monet
), un calotipo pubblicato da William
Henry Fox Talbot
nel suo The Pencil of
Nature
(1844); la seconda è stata scattata nel 1945 da un anonimo
appartenente all’esercito statunitense nel 1945 e si “intitola” La scala e l’ombra
detta di Hiroshima
(ce ne sarebbe pure una
terza, anzi una seconda bis, ancora con una scala e un essere umano, entrambe
ombre però, conservata al Museo della bomba atomica di Nagasaki).


Sintetizzare cosa ne è venuto fuori è impossibile. Poiché il
racconto” di Bailly ha le maglie
strette, cosicché saltare anche solo un paio di passaggi del ragionamento
farebbe crollare l’intero castello riflessivo. È possibile invece estrarne
alcune tesi apodittiche, rendere alcuni gangli degli aforismi su cui riflettere,
magari tradendo proficuamente il testo di Bailly.

La calotipia, checché ne dicesse – o si voglia far dire a –
Benjamin, non indebolisce l’immagine, la dilata. La rende una cartolina
potenziale, e del peso enorme di questi “manufatti” ha parlato recentemente
anche Tony Godfrey in Painting Today.
Restando in aria di tangenze foto-pittoriche (anzi, disegnative): tutti
conoscono il “mito” della figlia di Butade, del suo amante e della sua ombra,
della
skiagraphia. Un gesto “che
rappresenta dunque per sempre l’origine della rappresentazione figurata,
prefigura anche il fotografico: è la ‘matita della natura’ che disegna l’ombra”
, e non v’è ombra senza luce, senza phòs. Al punto che si potrebbero ribaltare i termini
della questione e dire che la fotografia è “
un precipitato
dell’immagine
” (e il ready made “un’iperimmagine
che sfocia nella parusia di un volume
”).

In
tempi di vulcaniche polveri sottili, questo precipitato – o, meglio, questa
sospensione – mostra la sua catastroficità: “
Non è più lo stesso mondo
quello dove tutto può essere trattenuto, dove tutto può sfuggire in qualsiasi
momento alla perdita e al seppellimento
”.
Terribilità della fotografia, “
figura immobile del passaggio del
tempo
”. Quasi come in 24 Hour
Psycho
di Douglas Gordon.

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e morte dell’immagine secondo Régis Debray

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fotografia in Italia

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specchio della memoria per Ando Gilardi

marco enrico giacomelli

*articolo
pubblicato su
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Jean-Christophe Bailly – L’istante e la sua ombra
Bruno Mondadori, Milano 2010
Pagg. 142, € 18
ISBN 9788861593626

Info: la scheda dell’editore

[exibart]

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