Dall’
horror vacui alla “compassione”: è questo il percorso lungo il quale Diego Mormorio guida il lettore nel suo ultimo libro,
Meditazione e fotografia. Vedendo e ascoltando passare l’attimo.
Il racconto si snoda sulla scia di un discorso narrativo orchestrato sulle corde di un andamento musicale lento ma costante, incessante, che sottende al ritmo del nostro respiro (
spiritus), alla cadenza dei nostri passi. Acquisirne la consapevolezza significa affinare i nostri sensi, imparare ad ascoltare e a vedere; in altri termini, significa conciliarsi con il mondo e con la natura di cui siamo parte o, meglio, con cui siamo “in relazione”, proprio come indica quel famoso principio – conquista tarda delle scienze occidentali, ma da sempre immanente alle filosofie orientali – secondo il quale “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Seguendo la successione ritmica, naturale dei passi e del respiro, l’autore ripercorre la storia della fotografia. A partire dalla nascita dell’arte figurativa, con la sua lenta evoluzione, passando attraverso i vedutisti del Cinquecento e l’ancestrale sapienza dei maestri Zen. Trovano opportunamente posto il
Pentateuco e Platone, Sant’Agostino e Albert Einstein, Charles Darwin e Pavel Florenskij; e certo non può mancare l’amata Wislawa Szymborska. Ci sono musicisti, filosofi, poeti; sono tanti e tutti in grado di relazionarsi con la fotografia e con i fotografi.
Di questi ultimi, in particolare, Diego Mormorio ama raccontare alcuni episodi salienti della loro vita e della loro opera, del loro modo di catturare l’attimo, di riprodurre il movimento, di mostrare le luci e le ombre, il loro saper raccontare tutta una vita in un solo volto o l’intero mondo in un solo cielo. Tra loro non possono mancare il fotografo e disegnatore
Henri Cartier-Bresson con le sue acute riflessioni sulla fotografia; il ritrattista
August Sander, il cui immenso lavoro è stato osteggiato e poi in gran parte distrutto dal regime nazista. Tra propaganda e denuncia appaiono i primi reportage di guerra a cura di
Roger Fenton e
Thimoty H. O’Sullivan. C’è la fotografia intesa come “sguardo” e la fotografia intesa come ricerca, sperimentazione, attorno al movimento, alle forme, alla luce, a partire da
Marey e
Muybridge fino ad
A.L. Coburn,
Moholy Nagy e
Man Ray.
Il volume si presenta come un percorso culturale, autobiografico, lungo una vita, fondato sull’esperienza fotografica e meditativa che l’autore ci suggerisce di esercitare e di educare, al fine di cogliere la pienezza di significato della nostra esistenza. E allora tutti possiamo senza indugio cominciare da qui: “
Aspettare la nascita di un fiore, seguirne il cammino, il suo arrivare fino alla massima bellezza e poi il suo cominciare ad appassire. Il cammino della bellezza di un fiore è come la nostra vita, bisogna amarla sapendo che appassirà, senza angoscia, con compassione”.