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libri_interviste Art and Electronic Media (phaidon 2009)
Libri ed editoria
Un libro che molti avevano cercato, invocato, atteso. Una trattazione esaustiva e aggiornata sul rapporto fra arte e media elettronici, capace di fungere da manuale, ma anche di suggerire letture critiche e punti di vista. “Exibart” ha incontrato l’autore di Art and Electronic Media - appena uscito per i tipi di Phaidon - attualmente impegnato in un tour di presentazioni sul suolo statunitense. Quattro chiacchiere con Edward A. Shanken, docente di Media Art History della Donau University di Krems...
È una domanda complessa, influenzata da molti fattori. Per gli antichi greci arte e tecnologia erano essenzialmente la stessa cosa, e durante il Rinascimento eruditi come Leonardo da Vinci e Brunelleschi operavano senza soluzione di continuità nei campi dell’arte, dell’architettura, della matematica, della scienza e dell’ingegneria. Fu l’Illuminismo a introdurre le distinzioni disciplinari e le teorie estetiche che hanno contribuito a distanziare queste attività, influenzando ancora oggi il modo in cui concepiamo l’arte.
È la concezione comune dell’arte quindi a ostacolare la fruizione delle arti elettroniche?
Molte persone pensano all’arte come a uno spazio consacrato all’espressione e alla conservazione dei valori umani più alti. Vedono l’incursione della tecnologia come una profanazione di quello spazio sacro, come un inquinamento della sua purezza. Altri vedono nella tecnologia una sensibilità macchinica e modernista, e quindi, sostanzialmente, retrograda. Ci è voluto più di un secolo affinché la fotografia venisse riconosciuta come un mezzo artistico a tutti gli effetti. Le videocamere sono state un medium fondamentale per l’arte sperimentale degli anni ‘60, ma hanno invaso il mercato consumer negli anni ‘80 e abbiamo dovuto aspettare gli anni duemila perché la videoarte si conquistasse un ruolo nel mondo dell’arte “tradizionale”.
I media elettronici pongono numerosi problemi di mantenimento e conservazione, problemi che terrorizzano i musei e li scoraggiano dall’esporre questo genere di lavori, e ancora di più dall’acquisirli per le loro collezioni permanenti. Ciononostante, gli artisti e gli operatori culturali che utilizzano i computer e altri media elettronici sono sempre più numerosi, quindi queste opere sono destinate a comparire, sempre più spesso, nel circuito dell’arte tradizionale.
Sei riuscito a sintetizzare un argomento molto vasto e complesso servendoti di sette correnti tematiche (Motion, Duration, Illumination / Coded form and Electronic Production / Charged Environments / Network, Surveillance / Culture Jamming / Bodies, Surrogates, Emergent Systems / Simulation and Simulacra). Come sei arrivato a questa scelta?
Ognuna delle correnti tematiche può essere pensata come una piccola mostra. E queste mini-esposizioni sono tutte collegate fra loro e costruite una sull’altra come parti di un insieme più grande. Questi fili conduttori contengono elementi che potrebbero esser considerati anche singolarmente, ma unendoli in un unico flusso spero di aver aggiunto qualcosa al significato di ognuno degli elementi e all’interpretazione delle opere. E spero che le loro interconnessioni producano un insieme che valga di più della somma delle parti.
Hai rifiutato la scelta più comune, quella di organizzare la trattazione cronologicamente…
Non ho voluto adottare una struttura cronologica perché volevo mettere in evidenza come media e/o concetti similari siano stati usati in periodi diversi e con obiettivi artistici differenti. Mi sono altrettanto opposto a un’organizzazione basata sul medium per due ragioni fondamentali. Innanzitutto perché avrebbe messo in primo piano l’apparato tecnologico come forza trainante del lavoro (un messaggio che non volevo trasmettere). In secondo luogo perché non avrebbe messo in evidenza come questioni concettuali e tematiche simili siano state affrontate dagli artisti con media differenti.
Riuscire a mettere in luce questo genere di continuità era una priorità fondamentale per me, così ho deciso di organizzare il libro tematicamente, nonostante la difficoltà nell’individuare dei temi che fossero internamente coerenti e significativi. E che funzionassero complessivamente, come insieme.
Il tuo saggio inizia con una citazione di Marshall McLuhan: “L’artista serio è l’unica persona in grado di affrontare indenne la tecnologia, perché è un esperto consapevole delle mutazioni nel campo della percezione sensoriale”. Gli artisti sono davvero in grado di aiutarci a comprendere la tecnologia e a migliorare il rapporto con i suoi prodotti?
È facile sopravvalutare l’importanza degli artisti come “precoci sistemi di allarme” per la società, come li definiva McLuhan, ma è anche molto facile sottostimarne la capacità di capire le implicazioni delle tecnologie emergenti, di commentarle e di generare intorno a esse pubblica consapevolezza. Per non parlare di quando riescono a ispirare l’innovazione tecnologica e a essere innovatori in prima persona.
Parliamo del concetto di interattività. È una caratteristica in enorme evidenza nel contesto del dibattito sulle arti elettroniche. Com’è cambiata negli anni?
C’era un alto grado di interattività in Sketchpad di Ivan Sutherland, creato nel 1961, come nell’oNLine System di Douglas Engelbart – la cui prima dimostrazione risale al 1968 – che riuniva, fra le altre innovazioni, il mouse, l’ipertesto e gli strumenti per la collaborazione online. Intorno al 1970, Myron Krueger iniziò a sviluppare i primi ambienti virtuali interattivi, che ha poi esposto in contesti artistici per quasi quattro decadi, ispirando generazioni successive di artisti, tra cui David Rokeby e Camille Utterback. Teorizzato alla metà degli anni ‘60 dall’artista Roy Ascott, ci fu poi l’incontrò dell’arte con la telecomunicazione.
Verso la fine degli anni ‘70 gli artisti iniziarono a sperimentare con il fax, la tv via cavo, la trasmissione satellitare e le reti di computer, con l’obiettivo di sviluppare delle modalità d’interazione fra i partecipanti. Per alcuni versi l’interattività è sempre la stessa, ma per altri è cambiata profondamente. Il mutamento più significativo che vedo sta nel suo raggio d’azione. L’interattività oggi opera su scala globale, coinvolgendo migliaia o addirittura milioni di partecipanti.
Per quanto tempo hai lavorato a questo libro? Hai scoperto qualche artista, aneddoto od opera poco conosciuta di cui ti piacerebbe parlare?
Ho firmato il contratto per il libro nel 2001, mentre stavo finendo la mia dissertazione e correggendo il mio primo libro, Telematic Embrace: Visionary Theories of Art, Technology, and Consciousness. A causa di ritardi nella produzione, ho riscritto il saggio iniziale due volte e riorganizzato la sezione delle opere. Imparo continuamente e non posso trattenermi dal fare revisioni e aggiungere nuovi lavori fino all’ultimo momento! È un sollievo che il libro sia stato finalmente pubblicato, così posso concentrare la mia attenzione su altri progetti.
Recentemente, però, sono venuto a conoscenza di un lavoro che mi risulta essere la prima opera di telecommunication art collaborativa, disseminata e in real-time. E avrei davvero voluto inserirla nel libro. Leif Brush a Iowa City, Sonia Sheridan a Chicago e un loro collaboratore a Pittsburgh trasmisero ognuno un segnale verso una chiamata telefonica in conferenza. L’insieme dei segnali generò un’immagine composita su tre fax installati nelle diverse città. L’immagine finale era prodotta dal suono della pioggia, da una fotografia a infrarossi del sole e da una serie di disegni. Eccezionale!
Le tue previsioni per il futuro delle arti elettroniche? Quali sono le ricerche più interessanti?
L’esplorazione delle potenzialità della ricerca transdisciplinare è solo all’inizio. Questo tipo d’indagine mette in crisi le consuetudini della ricerca e dell’insegnamento disciplinare tradizionale, dando vita a operatori e risultati ibridi. Man mano che il numero di questi operatori ibridi cresce, il loro impatto sulla centralità della tecnologia e della scienza nella produzione dell’arte e del design (e viceversa) costringerà a riconsiderare i canoni della storia dell’arte e delle storie della scienza e della tecnologia.
Idealmente, questo tipo di lavoro darà vita a nuove forme e strutture del significato, in grado di espandere i linguaggi dell’arte, del design, dell’ingegneria e della scienza, e di aprire nuovi orizzonti per la creatività e l’innovazione.
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Media Art Histories a cura di Oliver Grau
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Il sito del libro
valentina tanni
la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli
Edward A. Shanken (ed.) – Art and Electronic Media
Phaidon, London 2009
Pagg. 304, € 75
ISBN 9780714847825
Info: la scheda dell’editore
[exibart]