Spesso
i bibliofili sono esperti d’una disciplina che ha un nome un poco scostante:
biblioteconomia. In parole povere, si occupa di stabilire come vanno ordinati i
libri. Avete presente quei numeri sulla costa dei volumi consultati in
biblioteca? Sono riferiti alla più diffusa di tali classificazioni, la Dewey.
Per esempio, col numero 800 si indica la letteratura, con l’840 quella in
lingua francese, e si può scendere nei particolari fino al terzo decimale.
Ovviamente non è l’unica opzione tassonomica contemplabile. Basti pensare
all’infinito riordino operato e teorizzato da Aby Warburg.
Ebbene,
una partizione radicalmente dicotomica potrebbe discriminare fra i libri atti
al movimento (nelle tasche, sui treni, al bistrot…) e quelli d’indole
sedentaria. Questi ultimi – spesso per ragioni di formato, rigidità della
copertina ecc. – necessitano d’una superficie su cui essere poggiati, di una
matita ben temperata, di un certo spazio all’intorno.
A
questa categoria appartiene senza dubbio La fotografia in Italia di Paolo Morello. Si estraggono i due tomi dal
cofanetto che li racchiude, si dispone sotto gli occhi quello testuale (con un
segnalibro per individuare rapidamente le numerose note) e a fianco quello che
invece funge da supporto iconografico.
Ovviamente
Morello cita ben più delle circa 200 fotografie stampate nel libro d’
Immagini, ma la funzione d’innesco mnemonico è ben svolta.
Qualche dubbio lo suscita invece la mostra allestita allo Spazio Forma (fino al
2 giugno): è sempre rischioso “illustrare” con una rassegna quel ch’è nato come
un progetto editoriale. Il rischio più evidente è che i visitatori che il libro
non l’hanno letto fatichino a rinvenire il
fil rouge, e conseguentemente osservino una messe di scatti di
altissimo valore, ma che paiono privi d’un impianto chiaramente interpretabile.
Tornando
al progetto editoriale, questa prima uscita prende in considerazione il
trentennio dal 1945 al 1975. Ne seguiranno altre due, al fine di giungere ai
giorni nostri. Non ci si aspetti tuttavia l’ennesima storia della fotografia
strutturata in ordine meramente cronologico. Morello ha infatti scelto un
approccio che affianca lo svolgersi temporale degli eventi a quello tematico.
Così, gli otto capitoli di cui si compone il saggio hanno titoli come Il
Paese negato e, omaggiando Mario
Praz, Il corpo, la morte, il sacro.
E
se di primo acchito si potrebbe lamentare l’assenza di un’Introduzione a supporto della comprensione profonda del progetto
complessivo, la dichiarazione d’intenti di Morello si chiarisce sin dalla prima
pagina. Il capitolo d’apertura s’intitola infatti La fotografia d’arte e la prima citazione è tratta dal “manifesto” del
gruppo La Bussola, redatto nel 1947 da Giuseppe Cavalli. Vale la pena citarne alcuni passi: “Noi crediamo
alla fotografia come ‘arte’. Questo mezzo di espressione moderno e
sensibilissimo ha raggiunto […] la duttilità la ricchezza l’efficacia di un
linguaggio indipendente e vivo. […] Ma ecco nascere da queste premesse una
conseguenza di grande importanza: la necessità di allontanare la fotografia,
che abbia pretese di arte, dal binario morto della cronaca documentaria”.
Nel
medesimo senso vanno le pagine dedicate da Morello al
Messaggio dalla camera
oscura, scritto nell’inverno del 1943
da
Carlo Mollino. Qui si ritrovano
alcune conclusioni che, con le debite differenziazioni, anticipano (o seguono,
se si bada alla data di pubblicazione del saggio molliniano) la poetica de La
Bussola. Come ben sintetizza Morello, si tratta della “
liberazione del
soggetto da ogni vincolo residuo di oggettività […]; l’affrancamento
dell’espressione da ogni condizionamento del linguaggio […]; la definizione
delle caratteristiche dello strumento fotografico […] non più come limiti, ma
come possibilità espressive: come una catena di scelte di cui la libertà
dell’artista si nutre e si arricchisce”.
Ciò
non significa che lo studioso non consideri e non scriva al proposito dello
straordinario contributo italiano al reportage. Ma è indicativo il fatto che il
libro si chiuda, almeno per quanto riguarda questo primo trentennio, con “la
crisi della rappresentazione dei primi anni Settanta”. E il simbolo di tale crisi è l’opera di un grande
come Mario De Biasi: “Che
legame unisce le bambole dalle orbite vuote agli occhi dell’uomo ritratto in
Etiopia, al suo volto emaciato, alle sue lunghe dita appoggiate sulle
ginocchia?”. Quel che non ci si deve aspettare è una risposta.
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marco enrico
giacomelli
*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 65. Te l’eri perso? Abbonati!
Paolo
Morello – La fotografia in Italia 1945-1975
Contrasto, Milano 2010
2 voll. in cofanetto, pagg. 560+272,
120 euro
ISBN 9788869652196
Info: la scheda dell’editore [exibart]