Questa recensione racconta la storia di un’occasione mancata. Un peccato, considerato l’interesse del soggetto: il celeberrimo quadro di Gustave Courbet, L’Origine du monde, raffigurante un sesso femminile in bella mostra. Un’opera così realista che il Musée d’Orsay lo acquistò, in mezzo alle polemiche, soltanto nel 1995, e che fu esposto per la prima volta solo nel 1988, in occasione della retrospettiva americana curata da Linda Nochlin. L’autore si limita a fornire una ricostruzione storicamente ineccepibile delle vicende mondane legate al quadro, al punto che gli affondi biografici non risparmiano neppure i parenti dei protagonisti legati all’opera. È il caso ad esempio di Khalil-Bey, il ricco mercante d’origine turca che commissionò il dipinto.
I testi costruiti attorno ad una sola opera, o a un corpus ristretto, aprono spesso nuovi orizzonti, gettano sguardi inediti sull’intera produzione di un artista. Savatier finisce invece per redigere un libro schiacciato sulla sociologia più spiccia, scansando i problemi e non ritenendo che i fatti. Di un’irresistibile comicità -la migliore quanto involontaria critica all’iconologia che mi sia mai capitato di leggere- il capitolo consacrato all’identificazione della modella utilizzata da Coubet. In questa circostanza, l’autore si adopera a comparare l’incarnato, la forma e la villosità del pube femminile nei diversi quadri dell’artista.
Tuttavia, il vero problema del libro, così palese che ce ne accorgiamo solo a lettura ultimata, è che il suo soggetto specifico -ovvero l’opera nella sua facies visibile- non viene davvero mai abbordata. Una vera impresa, perché non è facile architettare un’analisi di oltre 200 pagine, ossessionata in modo patologico dal dettaglio, su un oggetto reso prudentemente invisibile. Savatier non descrive mai per esteso L’Origine du monde, non si confronta mai con un’opera che crea ancora oggi disagio e resistenza.
Al contrario, per non lasciarsi suggestionare dal potere dell’immagine, inanella contingenze storiche, che non fanno altro che allontanarlo dallo scandalo del suo oggetto, di studio quanto del desiderio. Ecco cosa manca in queste pagine: la messa in gioco dei fantasmi dell’autore e la loro elaborazione. Questo torso di donna senza braccia, senza gambe e senza testa, ridotto all’esposizione brutale del suo sesso, viene trattato come un qualsiasi documento d’archivio, su cui non resta che intraprendere un’indagine poliziesca e ricostruire la genealogia. Un’attitudine che mi ricorda una recente visita guidata in un museo d’anatomia patologica, in cui il conservatore vedeva, in quei boccali trasparenti pieni di malformazioni, prima la malattia che l’essere umano.
Deludenti gli accenni alle rarissime e discrepanti descrizioni storiche del quadro, come quelle di Maxime de Champ e Théophile Gautier, cui da un’analisi attenta potevano sorgere i veri snodi critici della questione. Deludente il capitolo su Jacques Lacan, proprietario del quadro sin dal 1955, acquistato probabilmente su consiglio di Bataille e dotato di un’apposita tendina semitrasparente elaborata da André Masson. Anziché affrontare di petto il pensiero di Lacan, l’autore disquisisce dell’allestimento dell’opera nel suo studio e si chiede chi poteva aver visto il quadro. Heidegger e signora, ad esempio, invitati da Lacan a Parigi nel ’55, avranno visto il sesso dipinto da Courbet? E quale sarà stata la reazione del filosofo della Foresta nera? Stizzita o partecipe? Questioni capitali, senza dubbio. Deludente, infine, il mancato utilizzo degli inevitabili strumenti psicoanalitici, foss’anche per prendere le distanze dall’ansia di castrazione con cui il quadro viene spesso associato, o dalle analisi raffinate del Jean Clair di Medusa, di cui basterà ricordare una citazione: aut vultus aut vulva.
La miglior conclusione mi sembra dunque fornita da Orlan, più pertinente ed efficace dell’impennata storica di Savatier: un collage in cui, su una riproduzione de L’Origine du monde, l’artista ha sostituito il sesso femminile con un enorme fallo. Il titolo? L’Origine de la guerre, naturalmente.
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riccardo venturi
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Cara Sonia, il museo di anatomia patologica di cui parlo è il Musée Dupuytren, dentro al Couvent des Cordeliers a Parigi, vicino Odéon.
Purtroppo è chiuso al pubblico, tranne che durante le giornate del patrimonio, occasione in cui l'ho visitato. Una giornata memorabile perché, durante la visita guidata, un ragazzo ha avuto una vera crisi epilettica e per poco non cadeva sopra una vetrina piena di boccali con feti a tre teste. L'evento sinistro ha elettrizzato l'atmosfera.
Il giorno seguente, avevo previsto di visitare il museo di malattie dermatologiche all'Hôpital Saint-Louis, in pieno stile Bacon ma, per paura che questa volta sarei stato io ad avere la crisi epilettica, ho rinunciato. Il prossimo anno, se hai coraggio, ci andiamo assieme.
Caro Riccardo, che bella recensione!! E' un grandissimo piacere leggerti.
Domandina frivola, per assecondare i miei "appetiti" un pò morbosi... qual'é il museo di anatomia patologica cui fai riferimento?
Ciao! E grazie.
Grandioso! Certo che ne ho il coraggio!! Mi piacerebbe molto. Se deciderai davvero di andarci, spero ti ricorderai di me...
Cmq grazie 1.000! E a presto! Sonia
Ragazzi a me risulta che il museo Dupuytren sia aperto al pubblico. Io sono andato nel 2006 e dai filmati che ho fatto ne ho ricavato un video
http://www.youtube.com/watch?v=y8_3WT1zbMA
Un saluto