“Se voglio procurare benefici alla mia mente non cercherò gli onori, ma la libertà”. Questo, secondo il suo biografo Van Houbraken, era il motto di Rembrandt van Rijn (1606-1669). Una libertà di cui cerca di render conto la monografia che al grande artista olandese ha dedicato, nel quarto centenario della nascita, Bert W. Mejier per la collana “I maestri” edita da Electa.
Direttore del Dutch University Institute for Art History di Firenze, Mejier ricostruisce la vita e l’opera del pittore dagli inizi alle prime prove autonome, già rivelatrici del genio, fino ai capolavori della maturità e della vecchiaia, mettendone in luce l’audacia tecnica, l’allergia alle convenzioni, la forza espressiva e la sorprendente poliedricità formale.
Di prodigioso in Rembrandt c’è molto. La sua puntuale conoscenza di tutti i fermenti artistici contemporanei e dei maestri del passato, acquisita pur non essendo mai uscito dai confini patri. La perizia nella resa delle superfici, trattate con piglio a volte virtuosistico. La non comune capacità di immedesimarsi nei soggetti immortalati, fino a farne emergere i lati più oscuri e reconditi. La varietà delle tecniche utilizzate, dal disegno all’acquaforte e alla pittura, ora lieve ora materica. Il tutto con sullo sfondo una biografia povera di eventi, ma ricca di drammi: la morte della moglie a trent’anni, di tre figli neonati e dell’ultimo, Tito, durante la peste del 1668; la ricchezza e la fama, la rovina economica e la fine in una modesta dimora di Amsterdam.
L’anticonvenzionalità, il gusto per l’esotismo, l’interesse per la sperimentazione formale fanno di Rembrandt, secondo la definizione coniata da Andries Pels nel 1681, il “primo eretico della pittura”. Nella sua opera vi è poco d’ideale e molto di reale, il che lo colloca agli antipodi rispetto, ad esempio, a un Vermeer. Secondo Mejier, prova ne sono gli ultimi autoritratti, in cui
L’autore fa emergere il profondo rapporto del maestro con il passato sia artistico (Tiziano, Annibale Carracci) che culturale. Ampio spazio è riservato poi alla sua passione per le donne, testimoniata dai ritratti all’amatissima Saskia come da tante tele, spregiudicate ma fortemente introspettive e perspicaci. La pittura di Rembrandt è però molto di più. Essa costituisce un corpus vario nei temi e profondo nelle emozioni: tanto sublimi quanto violente, tanto gioiose quanto drammatiche e disperate.
Il volume non è dunque un testo rivoluzionario, né dice nulla di nuovo. Ma l’accurata riproduzione delle opere, l’utile cronologia e la bibliografia essenziale ne fanno un buon punto di partenza per accostarsi al lavoro di un maestro col quale tanti, dai fiamminghi a Picasso, da Delacroix a Bacon, non hanno potuto fare a meno di confrontarsi.
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elena percivaldi
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