Ha ideato il progetto grafico, scelto le fotografie, organizzato con perizia il materiale relativo al lavoro degli ultimi anni. Trasformando il catalogo di una mostra ravennate in una monografia. Volumi così concepiti sono oltremodo utili al pubblico e agli stessi artisti, specie quando sono giovani e/o emergenti. Nella fattispecie, parliamo di Antonio Rovaldi (Parma, 1975; vive a Milano), che è stato in grado di sviluppare con tenacia una progettualità che lo ha portato nel 2004 al corso della Fondazione Ratti e ora al Premio New York, proprio quando era in partenza per gli States, con in mente il Maine e Henry D. Thoreau. L’organizzazione del libro è rigorosamente simmetrica. Dalla sovraccoperta alla copertina, che nelle sue quattro facce dispiega le dominanti cromatiche del suo lavoro, con un “intruso” enigmatico. Al centro, una serie di pagine azzurre propongono i testi di Emanuela De Cecco e una conversazione con Davide Ferri. Prima e dopo, l’iconografia e i brevi commenti di Rovaldi. Il motivo conduttore è quello della griglia, sin dalle due doppie pagine di apertura e chiusura, cieli grigi su carta millimetrata. La struttura di presentazione di ogni lavoro si ripete con regolarità. Qualche misurata parola dell’artista, una doppia pagina costituita da due griglie a loro volta costituite da immagini di piccolo formato, poi le immagini a piena pagina e infine le fotografie dell’allestimento. Da Care Signore (2003) a Sopra il luogo (2004), da Continuum (1999) a Non ricordo esattamente quando (2002) e Un attimo prima (2001). Naturalmente non manca il progetto presentato al Museo dell’Arredo contemporaneo, Cari signori (2005), che punteggia tutto il libro, intercalando i lavori precedenti.
Si concentra invece su un unico progetto Les Perbenistes di Eleonora Chiesa (Genova, 1979), che documenta la performance W011/2004 tenutasi alla Rebecca Container Gallery. Presentata da Antonio Arévalo, Elisabetta Rota e Roberta Gucci Cantarini, l’azione scorre lungo le pagine che vanno sfogliate con lentezza, come richiesto dall’artista, e ascoltando il CD musicale allegato. Non sarà possibile far coincidere la lettura con la durata della performance (24 ore!), ma un certo spirito similare va indubbiamente ricercato.
Ha invece il sapore più “classico” della monografia Babylon Zoo di Stefano Cagol (Trento, 1969), pubblicato in occasione della personale alla romana Oredaria, galleria che sin dall’apertura si distingue per la stampa di eleganti volumi, talvolta coediti con Skira. Monografia che tuttavia, come nel caso di Rovaldi, è stata concepita dallo stesso artista globetrotter, diventando una sorta di libro d’artista. Numerosi gli interventi critici e gli statement, tratti talora dalle pubblicazioni edite in occasione della presentazione delle mostre e performance precedenti.
Discorso simile vale per Primary di Valerio Berruti (Alba, 1977). Un volume progettato dall’artista in occasione di una personale (nella fattispecie nella sede torinese di Ermanno Tedeschi), ma che travalica il concetto classico di catalogo. Un volume di classe in tutti i sensi, curato da Raffaella Guidobono, con testi di Vittoria Coen, Lóránd Hegyi e Maria Chiara Valacchi, particolarmente interessante grazie alle numerose fotografie che illustrano il modus operandi del giovane pittore e che ne indagano i risultati con scatti a luce radente.
Ci allontaniamo dal genere monografico con le ultime tre segnalazioni. In primo luogo Milano: Guida Alternativa di Ozmo (Gionata Gesi, Pontedera, 1975) + Abbominevole (Oliver D’Auria, Legnano, 1979). Il duo, nel quale però vige una rigida separazione dell’operato, nella lunga intervista con Gianni Romano riflette sulle questioni “autoriali”, l’inevitabile diatriba street art/arte in galleria, appropriazionismo e, naturalmente, politica. Ma perché si parla di guida? Perché molti dei lavori che ancora campeggiano per le strade di Milano sono debitamente segnalati con tanto di cartina, così da rendere possibile un tour molto speciale.
Il secondo volumetto, stampato da Rossana Ciocca per la personale di Manuela Cirino (Milano, 1962) nei rinnovati spazi della galleria, è intitolato Nero su bianco, col sottotitolo intringante Tutto è stato detto ma siccome nessuno ascolta bisognerà ricominciare. Sono raccolti 45 disegni realizzati nel 2000 e nel 2005, con un tratto lineare, infantile, dolcissimo. Ognuno è corredato da una breve frase, che lo completa e disorienta. Sono brani tratti da film, tramissioni radiofoniche, libri, pensieri della stessa artista e in qualche occasione la fonte è stata serenamente dimenticata.
In chiusura, un volume più datato, frutto della collaborazione fra Mirta Carroli e Maria Luisa Vezzali. Dieci nell’uno è un’indagine sulla cabala ebraica, in particolare sulle dieci sephirot dell’Albero della Vita, articolata in disegni, citazioni, sculture. Un volume complesso, il cui menabò era stato esposto alla Biennale di Venezia nel 1995.
marco enrico giacomelli
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