L’ultimo libro di
Guido Sartorelli appare come la continuazione logica di
Per pretesto e per amore: parole e immagini intorno all’arte e alla città, pubblicato nel 2005 dalla stessa casa editrice veneziana. Ancora una volta siamo di fronte a uno scambio semantico di codici linguistici, dove le immagini “parlano” e le parole “si mostrano”. Non è un gioco nuovo questo, per Guido Sartorelli, noto artista concettuale degli anni ‘60 e rimasto tale pur nell’evoluzione fisiologica toccata alla sua “specie”.
Tuttavia, quest’ultimo lavoro, certamente in misura maggiore rispetto al precedente, presenta una marcata connotazione autobiografica e critica, e una cifra stilistica “a consuntivo” che denotano una matura presa di posizione da parte dell’autore. Non mancano pure le brevi ma acute suggestioni romantiche: “
Da fanciullo riuscivo a captare con l’olfatto l’arrivo della neve, ancora oggi la sua apparizione mi elettrizza”.
L’autore parla della sua formazione, delle sue esperienze artistiche, di quella prima personale, nel 1964, alla Bevilacqua La Masa, dove l’artista esponeva dieci oli su tela, tutti accompagnati da lunghissimi titoli. Uno di essi recitava:
Le Autorità. Il nobiluomo Ludovico Marsili, parlando con Galileo dei suoi contadini dice che per far capire a tutti quale sia il loro posto è talvolta necessario frustrare un cane in loro presenza. Ispirato alla
Vita di Galileo di
Bertolt Brecht, che Guido, con fare divertito e una punta di nostalgia, racconta di aver visto al Piccolo di Milano, dove si era recato in pullman insieme alla moglie Graziella e ad altri amici, tutti giovani e pieni di aspettative.
Ci sono poi i viaggi nelle varie città d’Europa, alla ricerca di “segni” da cogliere e metabolizzare per poi ricomporli in forme d’arte.
Dal racconto di questi “luoghi” emerge quella singolare sensibilità che contraddistingue Sartorelli e quella sua capacità di cogliere le sottili analogie sottese alle epifanie artistiche e naturali, come vedere nella cupola del
Brunelleschi la bellezza geometrica della
Butte Sainte Victoire di cézanniana memoria.
Nel capitolo
E fu video, Sartorelli parla del successo della videoarte, dovuto in gran parte alle potenzialità artistiche del
portapack, un registratore video messo sul mercato dalla Sony e che il coreano
Nam June Paik aveva usato per primo nel 1965. Il passaggio dalla cinepresa alla videocamera era dovuto soprattutto a motivi di economicità e comodità, mentre gli svantaggi della videoregistrazione – come l’impossibilità di eseguire un montaggio e quindi l’obbligo di realizzare un unico piano-sequenza, unitamente all’immagine scadente – combaciava con l’idea portante di quegli anni, secondo la quale lo schizzo, il progetto e l’idea sono più importanti del prodotto.
Poi arriva la “globalizzazione” e, di conseguenza, la progressiva riduzione delle differenze, del confronto tra le parti e anche dello spirito critico: “
La quantità prevale sulla qualità e sempre più avrebbe avuto ragione chi avrebbe gridato più forte. Il luogo comune, la più feroce delle malattie dell’uomo, avrebbe assunto dimensioni gigantesche”.
Nel 1975 l’artista è a Malta, “
alla ricerca della prima Europa”. Crogiolo di razze e lingue, il soggiorno in questo luogo d’incontro tra la spiritualità mediterranea e la razionalità nordica conferma quella che era già stata la “scelta di campo” del nostro artista: “
Tendere all’analisi, alla sintesi e alla dialettica delle forme”. Attratto come sempre dalle differenze e dalle contraddizioni, Sartorelli torna ancora una volta a Berlino, una città stimolante perché ricca di sollecitazioni, magari anche di segno opposto.
Dal trecentesco affresco della
Danza macabra con tanto di donna reale, scarmigliata e tragica presso la Marienkerke, al
Teleasparago, la torre della televisione, affettuosamente e irrispettosamente chiamata così dai berlinesi, il passo è breve. Ed è qui che nell’immaginario di Guido Sartorelli la leggendaria torre di Babele si concretizza e s’identifica con il dipinto di
Peter Bruegel, quello riprodotto sulla cartolina, divenuta negli anni un segnalibro logoro, compagno di tante letture.
Un libro, questo di Guido Sartorelli, ricco di riflessioni e osservazioni sull’arte, ma anche sulla storia e sulla società. Nel leggerlo affiora alla mente un confronto: come il fare artistico di
Roman Opalka – artista stimato da Sartorelli – coincide con la sua esistenza, così quello del veneziano lo è con la sua personalità, incontrovertibilmente lieve e sincera.