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26
gennaio 2009
libri_parole d’artista I cornuti della vecchia arte moderna (abscondita 2008)
Libri ed editoria
Un pamphlet arguto e puntuto. Dove si parla degli assorbenti di Burri e della grandezza di Boccioni, dei merletti di Vermeer e d’un certo Piet “Niet”. Quando gli strali erano disponibili sul mercato e Avida Dollars non ne faceva economia...
Uscito per la prima volta in Francia nel 1956 per la collana dei “Libelles” di Grasset & Fasquelle, Les Cocus du viel art moderne è un pamphlet atipico. Non tanto per i toni aspri e tranchante, la scrittura rigogliosa – e qui è doveroso un plauso per l’ottima traduzione di Elvira Bonfanti – e la tutto sommato brevità del testo. Il carattere inconsueto delle pagine di Salvador Dalí deriva piuttosto dal fatto di non essere state scritte per l’occasione; almeno non nella loro totalità.
In effetti, il libello raccoglie innanzitutto un incipit tratto dalla conferenza dello stesso Dalí tenuta in Sorbona nel dicembre del 1955, e ancor più contiene al suo interno la ripubblicazione integrale di un articolo apparso sul numero 3-4 di “Minotaure”. Ancor più perspicuo è il fatto che si tratti di un pamphlet privo di tesi o, per meglio dire, di una tesi “forte”, che sia innovativa rispetto a quanto detto dal suo autore negli anni precedenti.
Perché dunque leggere I cornuti della vecchia arte moderna? Invero, le ragioni sono innumerevoli. Perché la scrittura di Dalí è colta e barocca, è un “bello scrivere” che, quando sfora il muro di gomma dell’editoria, val la pena godersi (un unico esempio: “Il minimo che si possa chiedere a una scultura è di non muoversi”); perché è oramai rarissimo sentir dare dei “cornuti” ai critici, udire o leggere di “merda” e “cotolette” non soltanto per épater les bourgeois, ma perché le suddette feci e cosce di vacca sono utili al ragionamento, sia esso letterale o metaforico.
Inoltre, al di là di cosa si pensi – a torto o a ragione, a ragion veduta o cieca – dell’opera pittorica di Dalí, resta estremamente interessante leggerne e comprenderne i giudizi critici spillati alla volta dei “colleghi”. E, perché no?, è un piacere: lasciarsi sadicamente cullare dalle invettive contro Le Corbusier, visto che “l’ultimo grande genio dell’architettura si chiamava Gaudí”; adagiarsi mollemente sull’ode a Raffaello, “il più antiaccademico, il più teneramente vivo e il più futurista degli archetipi estetici di tutti i tempi”; sobbalzare leggendo di Velázquez, “la cui madre era portoghese, il che spiega il miracolo della pittura del più grande di tutti gli artisti: il sesso di Castiglia sempre umido per un’eiaculazione che solo le vene granitiche della Spagna potevano condurre attraverso misteriosi reticoli alla pupilla del pittore.
Certo, poi ci sono i passi dedicati alla critica dell’astrattismo, all’ennesima descrizione del metodo paranoico-critico, all’entusiasmo per la “discontinuità della materia” scoperta della fisica nucleare… Ma li si vorranno mica paragonare alle parole succitate e alle tante altre simili che costellano questo libro?
In effetti, il libello raccoglie innanzitutto un incipit tratto dalla conferenza dello stesso Dalí tenuta in Sorbona nel dicembre del 1955, e ancor più contiene al suo interno la ripubblicazione integrale di un articolo apparso sul numero 3-4 di “Minotaure”. Ancor più perspicuo è il fatto che si tratti di un pamphlet privo di tesi o, per meglio dire, di una tesi “forte”, che sia innovativa rispetto a quanto detto dal suo autore negli anni precedenti.
Perché dunque leggere I cornuti della vecchia arte moderna? Invero, le ragioni sono innumerevoli. Perché la scrittura di Dalí è colta e barocca, è un “bello scrivere” che, quando sfora il muro di gomma dell’editoria, val la pena godersi (un unico esempio: “Il minimo che si possa chiedere a una scultura è di non muoversi”); perché è oramai rarissimo sentir dare dei “cornuti” ai critici, udire o leggere di “merda” e “cotolette” non soltanto per épater les bourgeois, ma perché le suddette feci e cosce di vacca sono utili al ragionamento, sia esso letterale o metaforico.
Inoltre, al di là di cosa si pensi – a torto o a ragione, a ragion veduta o cieca – dell’opera pittorica di Dalí, resta estremamente interessante leggerne e comprenderne i giudizi critici spillati alla volta dei “colleghi”. E, perché no?, è un piacere: lasciarsi sadicamente cullare dalle invettive contro Le Corbusier, visto che “l’ultimo grande genio dell’architettura si chiamava Gaudí”; adagiarsi mollemente sull’ode a Raffaello, “il più antiaccademico, il più teneramente vivo e il più futurista degli archetipi estetici di tutti i tempi”; sobbalzare leggendo di Velázquez, “la cui madre era portoghese, il che spiega il miracolo della pittura del più grande di tutti gli artisti: il sesso di Castiglia sempre umido per un’eiaculazione che solo le vene granitiche della Spagna potevano condurre attraverso misteriosi reticoli alla pupilla del pittore.
Certo, poi ci sono i passi dedicati alla critica dell’astrattismo, all’ennesima descrizione del metodo paranoico-critico, all’entusiasmo per la “discontinuità della materia” scoperta della fisica nucleare… Ma li si vorranno mica paragonare alle parole succitate e alle tante altre simili che costellano questo libro?
articoli correlati
Dalí alla Fondazione Metropolitan di Milano
marco enrico giacomelli
Salvador Dalí – I cornuti della vecchia arte moderna
Abscondita, Milano 2008
Pagg. 120, ill. b/n, € 13,50
ISBN 9788884162021
Info: la scheda dell’editore
[exibart]