L’avanguardia come zona è il sottotitolo scelto per l’ultima raccolta di scritti
in mostra che suggellano i cinquant’anni di attività artistica di
Fabio Mauri. Un compendio che condensa un’intensa summa di esperienze, in cui arte e vita si fondono e s’intrecciano in una ricca trama di vicende. Dipanate lungo uno dei più frizzanti periodi di fermento culturale della storia d’Italia, quello che va dal secondo conflitto mondiale al limitare del nuovo millennio.
Circa mezzo secolo in cui gli eventi della sfera personale esaltano la vivace sensibilità dell’artista, attraverso la quale si snodano pensieri, riflessioni, racconti e memorie. Una sensibilità radicata nella ragione, controbilanciata dall’esercizio dell’intelletto, capace di “informare” i fatti. E di ordinare un linguaggio che comunica l’ineluttabilità del reale nella complessità della progettazione artistica.
Le opere di Fabio Mauri partono sempre dalla coscienza del potere trasformista del linguaggio, “
capace di travestirsi, trasmutarsi”, come scrive Francesca Alfano Miglietti, “
di essere seduttivo anche nelle sue forme ideologiche più pericolose”. L’artista risponde con l’azione, annulla i filtri della comunicazione, rendendo il messaggio in “immagini” immediatamente codificabili, snellendo il processo di comprensione in un semplice e immediato atto emotivo.
Per tutto il libro, Mauri ricompone come in un puzzle i suoi scritti stilati dal 1958 a oggi, ripercorrendo la sua complicata esistenza e la sua carriera attraverso racconti autobiografici, resoconti, estratti da appunti personali, progetti installativi e performativi, note alle opere, piccoli saggi su temi come l’arte, la critica, il linguaggio e l’ideologia.
Quest’ultima, in particolare, è considerata come l’equivalente europeo dell’oggetto di consumo americano, “
l’oggetto ansioso”, il falso ideologico, che ingombra e piega il linguaggio ai propri voleri, che costituisce il “
filo conduttore” sia del testo che di tutte le sue riflessioni e scelte artistiche.
Così, dal 1970 in poi, inseguendo l’ideologismo e “
portato per mano dall’analisi poetica dei contenuti effettivi del linguaggio”, Mauri torna all’Europa della sua infanzia, un’“
Europa falsa, ma vera nella sua drammaticità”. Le installazioni e le performance ripropongono dal “vivo” le esperienze più aberranti del nazismo e del razzismo, coinvolgendo il pubblico nella rievocazione di ciò che la storia ha rimosso, in un turbine tortuoso che conduce dritto all’esplorazione del “turpe”. Ecco dunque che in
Ebrea, in
Che cos’è il fascismo, in
Language is war e in
Ideologia e Natura il fattore
tempo si dilata restituendo i fatti, i dati, i reperti e le immagini al tempo riverberante dell’evento, a “
quella memoria crudele [che] diveniva metafora attuale”. Di un presente invisibile, come la verità che sconvolge “
la dimensione storica del conscio e dell’inconscio, per aprire varchi verso nuovi mondi e nuovi modi di rivivere e rivedere il passato e il futuro.
L’arte, “
che non è un sistema di pensiero, ma piuttosto un sistema immaginoso su quei sistemi”, si mescola con il fine pensiero dell’artista, che affonda le radici in un razionalismo intimo e oscuro. Una somma di elementi che lo conduce a esplorare gli aspetti più controversi dell’intelletto, del linguaggio e delle ideologie, a destrutturarne la natura complessa e ambigua fino a risolvere un nuovo lessico che si rinnova continuamente nell’azione.
Con la prefazione e la cura di Francesca Alfano Miglietti,
Scritti in mostra rappresenta, oltre che un
vademecum completo su Fabio Mauri, un documento importante per una tra le pagine più importanti della storia e della storia dell’arte nel nostro Paese.