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In principio era la tesi. senza oggetti e senza sentimenti. nemmeno il nome di un oggetto. Un procedimento pulito staccato dall’organo. Dal nulla al segno al segnante. Era l’individuo sorpreso dall’apparizione. la ricerca in un campo indeterminabile da fatti individuati. Io e gli altri. io e le responsabilità. io e le scoperte”.
Una volta
in principio era il verbo, ora invece
in principio era la tesi. Cosa è successo? All’apparenza si potrebbe notare che “tutto cambia per non cambiare niente”. In realtà il cambiamento è avvenuto, ed è avvenuto in profondità, alle radici del linguaggio.
Il gesto verbale di destrutturazione del significato attraverso la destrutturazione del significante è pratica diffusa nell’opera di
Vincenzo Agnetti che, con la riedizione di
tesi da parte di Gianpaolo Prearo Editore, si dona di nuovo al pubblico lettore.
Le mescolanze tipografiche di sapore avanguardista si coniugano alla riflessione intraverbale lettrista e risultano fatalmente intrise di logiche e discorsi semiologici. Le parole sono vittime del contesto in cui vivono tanto quanto gli individui che le pronunciano. E allora nasce il tentativo di “commistionare” linguaggi diversi (matematico, politico, letterario, poetico ecc.) alla ricerca di una liberazione dai vincoli del
prestabilito e del
convenzionale.
Sulle onde della sperimentazione linguistica nata e cresciuta negli ambienti di Poesia Visiva e Concreta, con uno sguardo alle ricerche oltreoceaniche di Conceptual Art e Art & Language, Agnetti compone il suo pamphlet in forma prosastica, arricchita però con elementi stranianti. I segni d’interpunzione non rispettano le norme grammaticali canoniche, spesso vengono presentati elenchi e assiomi di stampo scientifico, e non mancano le articolazioni grafiche.
Manipolare il segno, eseguire esercizi plastici sulla lingua perché, “
come ha detto giustamente lo stesso Vincenzo Agnetti, la parola è il primo strumento portatile dell’umanità, il primo suo manufatto standard o ready made, per il quale tuttavia si dà una netta sproporzione tra il grado estremo di diffusione e invece il basso quantitativo di attenzione che gli viene riservato”, scriveva Renato Barilli nel 1977 in
Parlare e scrivere.
La comunicazione mass-mediatica vorace e onnivora, infatti, ha masticato per anni significanti e significati. E tutto ciò sembrava portare alla morte della varietà e a una standardizzazione imperante contro la quale lottavano
Pignotti,
Miccini,
Balestrini, e contro cui si schiera anche questo storico testo-manifesto.
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Ma se la comunicazione si esprime attraverso l’allargamento e la sperimentazione delle tecniche espressive, è pur vero che dal Manierismo l’artista cerca di costituire il quotidiano come spazio d’irruzione della creazione artistica, luogo atipico di un gesto, quello dell’arte, che richiede uno spazio eccentrico ed esemplare”. È quanto dichiara nella prefazione Achille Bonito Oliva.