Una
delle caratteristiche più straordinarie dell’opera di
Yves Klein è la fusione tra evanescenza e
tangibilità. La sensazione di tattilità e la qualità aerea, quasi volatile dei
lavori non si contraddicono, ma coesistono in una delle tante “sinestesie”
messe a punto dal grande francese. La stessa cosa si può dire del suo impianto
teorico, chiaro anche al profano ma sempre sfuggente, elaboratissimo ma
irregolare e sempre libero.
Il
recente libro
Verso l’immateriale dell’arte della O barra O è una
testimonianza perfetta di questa doppia natura. Il volumetto è ciò che si
definisce “lodevole iniziativa editoriale”. Pubblicazione di testi inediti,
traduzioni di scritti, conferenze, documenti: uno strumento utile,
indispensabile in alcune parti, ma che si legge con la scorrevolezza di una
raccolta di racconti.
E
tra le righe spuntano dati e informazioni preziosi, oltre a curiosità che
ristabiliscono l’atmosfera di un’epoca. Va aggiunto che oggi la lettura diretta
degli scritti di Klein è lo strumento migliore per conoscere la sua poetica,
soprattutto in un mercato editoriale italiano che rende disponibile pochissimo,
a parte gli scritti tardi di un Restany ormai troppo trascendentalista per
cogliere l’impatto sociale di Klein.
Il
fulcro del libro è il testo integrale della conferenza tenuta da Klein alla
Sorbona nel 1959, che permette di cogliere la natura performativa di ogni atto,
anche verbale, dell’artista. I testi successivi mostrano la costruzione
progressiva del “personaggio Klein” che, rischiando di essere tacciato di
superomismo, compie invece un sacrificio totale della sua persona a favore di
una nuova arte, trascendente ma non spiritualista.
Tra
gli scritti, tutti gli articoli di “Dimanche”
, giornale stampato in un unico
numero nel 1960;
L’avventura monocroma, in cui Klein getta i semi di una cosmogonia
personale basata sulle teorie di Bachelard;
Yves il monocromo (1960); le “
regole rituali per
la cessione delle zone di sensibilità pittorica immateriale”.
L’appendice
sui rapporti con l’Italia propone pagine altrettanto preziose: un diario del
viaggio compiuto in Italia nel 1948, a vent’anni, il testo di Restany per la
mostra da Apollinaire nel 1957 e la recensione della stessa mostra di Dino
Buzzati, oltre a un carteggio con
Fontana.
Verso
l’immateriale dell’arte è un libro che impone di essere letto d’un fiato, utile a delineare
un corpus teorico irregolare nella forma ma solidissimo, prescrittivo ma mai
dogmatico. Con note puntuali e approfondite, e con date e fonti sempre reperibili.