Hans-Ulrich
Obrist non ha scritto molti libri. Anzi, in realtà non ne ha scritto nessuno.
Ogni sua pubblicazione è legata a una mostra, a un convegno, a un evento. E
l’evento può essere un’intervista.È
nata così The Conversation Series
edita da Walther König e giunta alla
24esima uscita, in cui il faccia a faccia è fra HUO e Cerith Wyn
Evans. E così è nato il volume A Brief History of Curating, che abbiamo recensito sul numero 57 di Exibart.onpaper. Allora scrivevamo che è “un format quello che ha
inventato Hans Ulrich Obrist. Il quale certo non ha dato vita al genere
dell’intervista o, meglio, del dialogo pubblico e pubblicabile. Ma ha il merito
di averlo trasformato, per l’appunto, in un format”. E, come tutti i format che si rispettino, ha le sue
regole. Ad esempio, HUO realizza le sue interviste sempre live. Capita però che il dialogo sia a tre, come nel caso di
quelli con il Premio Nobel Czeslaw Milosz e con l’architetto e urbanista Oskar
Hansen, ai quali partecipa pure Philippe
Parreno, o di quello con Nancy Spero e Leon Golub; e
capita pure che a conversare siano in quattro: HUO, Kazuo Shinohara, Daniel Birnbaum e Akiko Miyake, oppure HUO, Rem Koolhaas, Robert Venturi e Denise
Scott Brown.Il risultato di questa pratica ventennale consiste in oltre 2.000
ore di registrazioni. Un compito immane per gli sbobinatori, un progetto
monumentale per chi l’ha ideato e lo sta realizzando. Un progetto che non può
avere fine. L’Interview Project, che trova la sua estrinsecazione più “corposa” nei volumi editi
da Charta (il primo uscito nel 2003, il secondo appena dato alle stampe), è
infatti nato al fine di “preservare tracce di intelligenza dalle decadi
passate – in particolare con i pionieri del XX secolo che hanno ottanta,
novanta o più anni”.
L’obiettivo è alimentare la memoria di contro all’oblio, con la convinzione che
“il futuro è costituito da frammenti del passato” e che “essere contemporanei significa
resistere alla omogeneizzazione del tempo, attraverso rotture e discontinuità”.L’intervista ha tuttavia anche una utilità “estrinseca”. Perché se
a monte, come racconta lo stesso HUO, il suo lavoro è sempre stato basato sulle
conversazioni con gli artisti, è vero anche che questa “text machine” ha un carattere performativo. In due sensi: perché in primo luogo
l’attività in genere di HUO ha assunto la forma di una vera e propria life
performance; in secondo
luogo, e in senso austiniano (si veda il bel libro How to Do Things with Art di Dorothea von Hantelmann, anch’esso
recensito su Exibart.onpaper), le interviste realizzate da HUO sono linguisticamente
performative, “producono realtà”. Ad esempio, l’unica domanda ricorrente chiede: “Qual è il
tuo progetto irrealizzato?”.
È il progetto irrealizzato di HUO è proprio “curare una grande mostra di
progetti irrealizzati”,
portando dalla potenza all’atto non solo il proprio progetto, ma anche quello
degli intervistati.La struttura di Interviews.
Volume 2 non segue dunque l’ordine
cronologico della data di realizzazione delle interviste, e nemmeno si affida
all’ordine alfabetico dei cognomi degli intervistati. Si basa invece sulle date
di nascita degli interlocutori di HUO, partendo con la scrittrice Nathalie Sarraute
(1900-1998) e chiudendosi con l’artista Tris Vonna-Mitchell (1982). Un indice suddiviso per decadi, che snocciola
anche (e soprattutto) nomi che nulla o quasi hanno a che fare con l’arte:
l’ignaro inventore dell’LSD Albert Hofmann, lo storico del Secolo breve Eric Hobsbawm, il campione del nouveau roman Alain Robbe-Grillet, il matematico dei frattali
Benoît Mandelbrot, lo “psicomago” Alejandro Jodorowsky.L’invito
(a se stesso?) a non fermarsi diviene addirittura il titolo del libro del 2006
che ora Postmedia propone in italiano. Si tratta di una raccolta di testi, in
buona parte tratti da cataloghi di mostre curate dallo stesso HUO, che
restituiscono piuttosto chiaramente la ragnatela di ossessioni dello svizzero.
E come prima cosa saltano all’occhio le date di questi stessi scritti, tenendo
conto che HUO è nato nel 1968. Mentre in Italia si usa l’aggettivo “giovane”
pure per i cinquantenni…
Uno
degli aspetti più affascinanti di questi brevi saggi è non solo la densità –
talora al limite dell’aforistico – ma pure la continua “deriva” letteraria,
filosofica, urbanistica ecc. (qualche nome citato: Romano Guardini, Étienne Balibar, Ernst Bloch, René
Daumal) che arricchisce sempre la riflessione di HUO, anche qualora si tratti
di esprimersi monograficamente su un solo artista. E se gli spunti sul lavoro
di personaggi come Gerhard Richter
sono assai proficui (nella fattispecie, il rapporto con l’eterno ritorno
niezschiano e con la lettura che ne fornisce Pierre Klossowsky), ancor più
istruttive sono le pagine dedicate alla pratica curatoriale: da Pausa caffé (“Il museo è un’opzione circondata da altre
opzioni”; “Lo scenario peggiore è
quello in cui il curatore crea una scena per inserirvi opere d’arte che servono
solo ad illustrare le sue grandi idee”)
a Dentro e fuori dai musei (“Qualsiasi
forma di contro-struttura o anti-museo, una volta riconosciuta come tale, prima
o poi sarà istituzionalizzata”),
passando per Alexander Dorner Revisited (“Le mostre classiche, tradizionali, enfatizzano ordine e
stabilità. Tuttavia, nella vita, nel nostro contesto sociale, si vedono
fluttuazioni e instabilità, una pletore di scelte ed una certa prevedibilità”).
E
quando, a commento del video Der Lauf der Dinge di
Fischli & Weiss, HUO cita Paul
Virilio, pare abbozzare un ritratto della sua stessa attività: “Il viaggio
diventa l’attesa per una meta che non arriva mai. Sorge il dubbio che siano gli
stessi strumenti di trasmissione a costituire il fine”. articoli
correlati
La
storia della curatela secondo Obrist
Curare
l’arte, voci raccolte da Chiara Bertola
La
Triennale di Yokohama curata da HUO
marco
enrico giacomelli
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 66. Te
l’eri perso? Abbonati!
…dontstopdontstopdontstopdontstop
Postmedia,
Milano 2010
Pagg.
160, € 19
ISBN
9788874900435
Info:
la scheda
dell’editore
Interviews.
Volume 2
Charta,
Milano 2010
Pagg.
960, € 57
ISBN
9788881587315
Info:
la scheda
dell’editore
[exibart]