Quale andamento ha avuto il mercato nel 2006?
Complessivamente stabile secondo il Mib Art (l’indice che calcola la media delle quotazioni delle azioni delle società quotate con attinenza in campo artistico), che assegna ai titoli dell’arte una volatilità più consistente rispetto al normale Mib 30 dal 2002.
Quante sono le gallerie in Italia?
Rispetto a oltre 7.500 esercizi contati nel 2006 che si occupano di vendere arte, antiquariato e articoli da collezionismo in generale, il 18,7%, cioè 641, sono gallerie e agenzie di compravendita di oggetti d’arte.
Quanto si spende in arte?
Il rapporto, prudenzialmente, attribuisce una ricchezza media di 400 mila euro al 15% delle famiglie italiane. Secondo gli economisti americani Mei-Moses, che forniscono analisi sul mercato dell’arte, la quota d’investimento in arte per questo segmento varia tra l’1% e il 35%. Ciò equivale, anche limitandosi a immaginare una propensione annuale all’investimento pari all’1%, a un fatturato teorico pari a circa 1,3 miliardi di euro. Che è più o meno il doppio di quanto risulta dai dati reali. Le famiglie italiane sono poco attratte dall’arte, sono poco stimolate dal regime fiscale a investire in questo settore? Oppure i dati dichiarati non fotografano la realtà? Probabilmente un po’ tutte queste cose insieme.
In quali settori si investe?
Si conferma anche in Italia nel 2006 la crescita del comparto del contemporaneo, seguita dal moderno, mentre sono percepiti in calo i settori della scultura moderna e la pittura del Sei e Settecento. Alla crescita della domanda è corrisposto anche un sensibile incremento dei prezzi: +8,2% per il moderno e +8,6% per il contemporaneo.
Dove si compra?
Il 71% degli operatori dichiara che in prevalenza le vendite vengono chiuse in sede, il 18% alle fiere, mentre l’11% sostiene che ciò avvenga durante le mostre.
Investire in arte conviene?
La maglia rosa del mercato…
Fra tutti i comparti presi in esame, quello che è stato magiormente percepito in aumento nel 2006, per numero di scambi e prezzi, è stato la fotografia. Il 62,5% degli intervistati ha attribuito infatti un netto miglioramento rispetto al biennio 2004-2005. I prezzi hanno segnato un +37,5% sui valori minimi e un +14,3% su quelli massimi.
…e la maglia nera
Scetticismo tra gli operatori è invece stato espresso sul mercato dell’arte antica. Nel 2006 la maggioranza dichiara una situazione stabile con ipotesi di diminuzione consistenti sia per la pittura di alta epoca che per quella del Settecento.
Ferma restando l’importanza e l’opportunità di disporre di osservatori come quello di Nomisma, alcune obiezioni di merito sorgono spontanee dal punto di vista metodologico.
La prima consiste nel fatto che la parte più consistente del lavoro di ricerca si basa sui giudizi degli operatori e non su dati certi. Va da sé che il quadro generale che ne emerge risulta in larga parte opinabile e fortemente influenzabile da sensazioni contingenti legate all’andamento dell’economia.
Altro punto debole è, giocoforza, il grado di generalizzazione. Prendendo come esempio il settore contemporaneo, nello stesso ambito di mercato si muovono operatori molto diversi fra loro.
Da ultimo rimane un grande problema di fondo (e stavolta Nomisma non c’entra): qualunque lavoro di ricerca si faccia sul mercato dell’arte, gli unici dati reali sui quali si può contare sono quelli forniti dalle case d’asta, che rappresentano sì un attore imprescindibile del mercato, ma non l’unico. Cercare di quantificare il vero giro d’affari dell’arte in Italia, dove il mercato sommerso la fa da padrone, era e rimane un’impresa. Figuriamoci pensare di addentrarsi in analisi più articolate e complesse.
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E'assolutamente giusta la critica sul fatto che il lavoro sia basato sulle impressioni degli operatori. Però ci si scontra, in una realtà come la nostra italiana, con due questioni: a)l'impossibilità ad avere dati reali da parte degli operatori per le intuibili reticenze; b)l'impossibilità a verificare la veridicità e la rappresentatività degli stessi dati (con tutto il sommerso che c'è). Tarando bene la ricerca e ricordandoci come spesso le impressioni possono "fare" il mercato, tanto più in una tipologia di beni come quelli artistici soggetta a forti componenti culturali, direi che è gran difficile avere di più. Anche se mettere gli occhi nei portafogli dei galleristi sarebbe ben altra cosa!